Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

La cavia di Siena

Nel vacuum renziano, Mps sarà il primo grande esperimento di bail-in

Alberto Brambilla

L’ipotesi di un aiuto pubblico con oneri per azionisti e creditori, come piace a Schäuble. E altri consigli tedeschi. Borsa su, aspettando Padoan

Roma. Come difendersi dai ladri se in casa non c’è nessuno? La tempistica delle dimissioni del governo guidato da Matteo Renzi, dopo una sconfitta più grave delle previsioni al referendum costituzionale, non poteva essere peggiore per le sorti del Monte dei Paschi di Siena (Mps) che si ritrova in un cul de sac. Il titolo della banca è crollato di nuovo ieri per poi chiudere in positivo. La Borsa non ha risentito del trambusto politico (più 4,1 il Ftse Mib) nella prospettiva che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ex Fmi e Ocse, guidi un governo transitorio. Gli investitori temono tuttavia che la terza banca italiana rischi di non essere solvente nonostante venerdì abbia completato con successo una parte del piano di ricapitalizzazione con l’avallo dei creditori alla conversione di obbligazioni subordinate in azioni per 1,028 miliardi. Generali aveva portato in dote 400 milioni con la possibilità di diventare socio rilevante di Mps. Non è chiaro se i fondi sondati dagli advisor di Mps, JP Morgan e Mediobanca, siano ancora interessati a sottoscrivere la restante parte dell’aumento da 5 miliardi complessivi. Il fondo sovrano del Qatar non sarebbe propenso a fare da investitore “apripista” dopo un meeting all’indomani delle dimissioni di Renzi, garante dell’operazione, con l’ad di Mps ed ex di JP Morgan Marco Morelli che ieri era alla Banca centrale europea per fare il punto della situazione e oggi riunisce il cda. Se le altre banche del consorzio si ritirano, aumenta il rischio di un intervento dello stato nella ricapitalizzazione, con parallele svalutazioni delle obbligazioni subordinate e risarcimenti per i piccoli risparmiatori eventualmente colpiti.

Il nuovo regime europeo per evitare il fallimento di un istituto predisponendone il risanamento, il bail-in, prevede la possibilità di intervento pubblico in forma di nazionalizzazione temporanea – ipotesi esaltata ieri da Financial Times e Wall Street Journal – ma richiede in ogni caso che vengano inflitte perdite agli azionisti e ai creditori almeno pari all’8 per cento del totale del passivo. L’intervento pubblico non è più un pasto gratis per i privati come in passato. Una deroga al bail-in o una sua moratoria – come chiesero inutilmente il governo Renzi e la Banca d’Italia – minerebbe la credibilità del nuovo regime e dei governi che l’hanno promosso. Wolfgang Schäuble, inflessibile ministro delle Finanze tedesco, è stato uno degli architetti della regola dell’8 per cento e non ammette deroghe. La Banca centrale europea la pensa come lui: in passato aveva respinto le giaculatorie dell’Italia che dopotutto ha adottato la direttiva europea che istituisce il bail-in nel 2015. Il mancato rispetto del nuovo regime minaccerebbe la già contorta creazione dell’Unione bancaria europea che si propone di centralizzare la gestione delle crisi bancarie con il Single resolution mechanism (Srm) e di condividere gli oneri attraverso il Single resolution fund (Srf). Tuttavia l’accordo intergovernativo che disciplina il meccanismo è stato ratificato da 20 paesi su 26 firmatari e il fondo non è attivo. Nel caso di Mps l’onere non sarebbe condiviso dagli stati aderenti ma sarebbe in carico all’Italia. Testare il bail-in su una banca di dimensioni rilevanti, come Mps, in questo frangente non peserebbe sui contribuenti tedeschi. Il problema bancario italiano è però molto più grande di Mps: servono “almeno 20 miliardi di euro di fondi pubblici perché le banche italiane possano restare a galla”, prevede una stima di Swissquote, una banca elvetica. Stima che pare prudente: solo l’aumento di Unicredit, banca di rilevanza sistemica globale, sarà di 13 miliardi circa. Volker Wieland, uno dei consiglieri economici del governo tedesco, il consiglio dei “cinque saggi”, ha detto ieri che l’esecutivo italiano “dovrebbe chiedere un programma di aiuti all’Esm (il fondo salva stati)” per le sue banche. Come fece la Spagna nel 2012 chiedendo all’Ue prestiti per 41,3 miliardi dedicati alle banche e subordinati a una ristrutturazione del settore radicale ed eterodiretta.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.