Una sede della Volkswagen (foto LaPresse)

Benedetto il surplus della Germania

Luciano Capone

L’idea che basti abbattere l’avanzo commerciale tedesco per risolvere i problemi dell’Eurozona è popolare, ma basta dare un’occhiata ai numeri per accorgersi che forse le cose non stanno proprio così. Nel 2015 il surplus della Germania è stato quasi il 7 per cento del pil, circa 250 miliardi di euro.

Roma. Ieri era l’austerità di matrice protestante, ora sono il surplus commerciale e l’eccessivo risparmio tedeschi, in ogni caso sul banco degli imputati o all’origine delle recriminazioni c’è sempre la Germania e con  la sua visione dell’economia “imposta” all’Eurozona. Negli ultimi tempi, e in maniera evidente con lo strappo dopo il vertice europeo di Bratislava, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha più volte sottolineato quanto sia dannoso per l’economia europea l’eccessivo avanzo delle partite correnti tedesco, che da tempo supera la soglia del 6 per cento del pil segnalata dall’Unione europea come indicatore di squilibrio: “Se dovesse rispettare alla lettera le regole europee – ha detto Renzi – la Germania dovrebbe reinvestire questo surplus dando ordini e lavoro alle aziende europee e italiane”.

 

L’idea del premier, condivisa in larga parte anche dalle forze di opposizione e da altri stati europei, è che la Germania dovrebbe abbattere il suo surplus, spendendo di più, per trainare la domanda europea e aiutare le economie del continente a uscire dalla stagnazione. Insomma, Berlino dovrebbe fare la locomotiva economica dell’Europa e invece con le sue politiche di eccessivo risparmio, sia pubblico sia privato, da un lato deprime le prospettive di crescita dell’Eurozona e dall’altro fa concorrenza sleale ai paesi periferici, rubando quote di mercato e di export. Ma siamo sicuri che i tedeschi abbiano un eccessivo surplus perché spendono poco e che sia proprio questo a impedire la crescita dei paesi cosiddetti periferici come l’Italia?

 

L’idea che basti abbattere l’avanzo commerciale tedesco per risolvere i problemi dell’Eurozona è popolare, ma basta dare un’occhiata ai numeri per accorgersi che le cose non stanno proprio così. Nel 2015 il surplus della Germania è stato quasi il 7 per cento del pil, circa 250 miliardi di euro. Per rientrare nei parametri Ue, si chiede a Berlino di fare maggiore consumi o investimenti per circa 35-40 miliardi di euro. Ma l’Italia, che pure è uno dei maggiori partner commerciali della Germania, conta solo per il 5 per cento dell’import tedesco. Quindi, anche ipotizzando che tutta la maggiore spesa di Berlino si riversi all’estero, l’export italiano aumenterebbe di 2 miliardi.

 

Nell’ipotesi più inverosimile, dato che solo una frazione minoritaria della maggiore spesa tedesca andrà in import, si tratta di briciole che non rivoluzionerebbero le prospettive di crescita del nostro paese. Inoltre il surplus commerciale non è qualcosa nel pieno controllo dello stato, ma dipende dalle scelte economiche di famiglie e imprese che potrebbero reagire a maggiore deficit e spesa pubblica aumentando il risparmio per pagare le tasse future, secondo quella che gli economisti chiamano equivalenza ricardiana, annullando così l’effetto della manovra.

 

C’è da dire che il surplus tedesco è stato costantemente sopra il 6 per cento del pil, ma non è stata sempre identica la sua composizione. Rispetto agli anni pre crisi si è praticamente annullato il surplus con i paesi dell’Eurozona, mentre è cresciuto notevolmente con i paesi fuori dalla moneta unica. Questa aumentata capacità di esportare fuori dall’unione monetaria, oltre naturalmente alla maggiore competitività delle industrie tedesche in settori come l’automotive, la meccanica e la chimica, è stata spinta dalla discesa del costo del petrolio e dall’abbassamento dei tassi d’interesse favorito dalla Banca centrale europea. Questi fattori che gonfiano l’export tedesco di certo sono vantaggiosi anche per i nostri conti pubblici (leggi interessi sul debito) e per l’export italiano (proprio ieri l’Istat ha segnalato un netto aumento delle esportazioni italiane extra Ue). Un aumento dei tassi d’interesse e del costo del petrolio probabilmente ridurrebbero l’avanzo tedesco, ma difficilmente produrrebbero qualche beneficio per noi.

 

Di come trattare il surplus dell’area euro e della Germania ha parlato anche Mario Draghi, ricordando a maggio che se in passato i capitali fluivano dai paesi in surplus verso quelli che offrivano interessi più alti, ora con rendimenti così bassi il meccanismo si è inceppato: “La risposta di lungo termine per aumentare i tassi di rendimento reali deve essere un riequilibrio strutturale del risparmio e degli investimenti globali – ha detto il presidente della Bce – Questo è il motivo per cui le riforme strutturali sono così importanti. Sono la chiave per aumentare la crescita della produttività e rendere quindi gli investimenti più attraenti”. Le recriminazioni verso il surplus tedesco rischiano solo di distrarci dalle cose veramente importanti.

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali