Finanziare Casa Italia e la ricostruzione post sisma? Lezioni dal lotto inglese

Luciano Capone
Prima di aggiungere deficit a deficit sarebbe il caso di disegnare un meccanismo che da un lato garantisca un flusso continuo di risorse nel tempo, e che dall’altro vincoli i governanti a non distrarre gli investimenti verso la spesa corrente.

Roma. Dopo il disastro materiale e umano provocato dal terremoto in Centro Italia, tutto il paese ha preso coscienza della necessità di mettere in sicurezza le città, gli edifici pubblici e privati, per evitare di subire in futuro tragedie simili. Il governo ha lanciato il progetto Casa Italia, un piano di lungo termine di prevenzione anti sismica, mettendo sul piatto circa due miliardi di euro e anche le opposizioni, al di là di qualche distinguo sugli strumenti da utilizzare, sono concordi sull’obiettivo di fondo.
Purtroppo la storia più o meno recente ha insegnato che dopo ogni disastro naturale si ripete lo stesso copione: grande sforzo di unità e solidarietà nell’immediato, e poi però scarsa costanza nell’attuazione di piani e investimenti che hanno un orizzonte temporale ampio. Non c’è da dubitare delle buone intenzioni del governo e delle opposizioni, ma visti i precedenti è facile prevedere che un piano ventennale o trentennale come Casa Italia difficilmente verrà portato a termine. E’ anzi probabile che in futuro questi due miliardi verranno spostati da questo o dai successivi governi sulla prossima sventura, che riguarderà di volta in volta la condizione delle periferie, il terrorismo, un disastro ambientale, l’immigrazione, il dissesto idrogeologico. E’ per questa incapacità di pensare il futuro che il paese si trova a gestire continue emergenze.

 

Come era facile immaginare, anche in questo caso molti hanno evocato l’Europa matrigna, che impedisce ai paesi sismici meridionali di fare deficit per mettersi al riparo. Ma prima di fare ulteriore debito, che nella storia della Repubblica non è mai mancato, sarebbe il caso di capire cosa non ha funzionato finora. Dopo ogni disastro i governi italiani hanno pensato di risolvere il problema dei costi introducendo una tassa di scopo, in genere accise tuttora esistenti, per ogni disastro: Vajont, alluvioni e terremoti dal Belice nel 1968 fino all’Emilia nel 2012. Ma in realtà le accise sono servite per scopi diversi da quelli dichiarati perché gli introiti, che nei decenni oltre a coprire i costi delle ricostruzioni potevano essere investiti per mettere in sicurezza il paese, sono andati e continuano ad alimentare il calderone della spesa corrente.

 

Prima di aggiungere deficit a deficit sarebbe quindi il caso di disegnare un meccanismo che da un lato garantisca un flusso continuo di risorse nel tempo, e che dall’altro vincoli i governanti a non distrarre gli investimenti verso la spesa corrente. Un modello è il settore dei giochi del Regno Unito che, a partire dal 1994, con il National Lottery Act approvato dal governo conservatore di John Major destina il 28 per cento dell’intera raccolta (il 70 per cento delle tasse) alle “good causes”: progetti per la salute, l’istruzione, l’ambiente, la tutela del patrimonio culturale e lo sport. Ogni anno Londra spende circa 1,9 miliardi di sterline in buone cause, peraltro tutte rendicontate in maniera trasparente, città per città e progetto per progetto, su un sito dedicato. Negli ultimi 21 anni la National Lottery ha speso 35 miliardi di sterline in 490 mila progetti. Lo scopo del meccanismo è “ripristinare il nostro patrimonio e promuovere progetti che diventeranno fonte di orgoglio nazionale”, c’era scritto nel Manifesto conservatore del 1992, ed è indubbiamente un obiettivo che potrebbe coincidere con la messa in sicurezza dei comuni italiani e del loro patrimonio storico e culturale.

 

In Italia ci sono ampi margini per far emergere i benefici del gioco legalizzato e per trasformare vizi privati in pubblica utilità. Secondo i dati della commissione Finanza della Camera, il comparto del gioco ha un giro d’affari che si aggira sugli 85 miliardi e nel 2015 ha prodotto entrate fiscali pari a 8,7 miliardi. Se si seguisse il modello inglese, che è quello che al mondo restituisce direttamente alla società la quota più ampia degli introiti, l’Italia metterebbe a disposizione un flusso annuo di circa 6 miliardi di euro per ridurre i danni provocati dagli eventi naturali. Se anche si volessero dedicare i soli introiti derivanti dalle videolottery, che rappresentano la metà degli introiti fiscali, ci sarebbero a disposizione circa 4 miiardi di euro, il doppio di quanto previsto da Casa Italia. Una scelta del genere sarebbe sicuramente più seria e lungimirante delle bizzarre proposte di requisizione del jackpot del Superenalotto avanzate da più parti in questi giorni. La parte difficile è tagliare una quota pari di spesa pubblica, ma anche in questo caso si può guardare oltremanica e imparare dalla spending review portata avanti da David Cameron.

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali