La sede di Rcs di via Rizzoli a Milano (foto LaPresse)

Quante (illogiche) incognite dietro “l'Opa dei cinque” per Rcs

Massimo Mucchetti
Ha vinto il mercato: questo è il coro all’annuncio dell’Opa su Rcs lanciata dai “cinque di Piazzetta Cuccia”, ossia il fondo InvestIndustrial di Andrea Bonomi, Della Valle, Pirelli, UnipolSai e la stessa Mediobanca. Ma di quale mercato stiamo parlando?

Ha vinto il mercato: questo è il coro all’annuncio dell’Opa su Rcs lanciata dai “cinque di Piazzetta Cuccia”, ossia il fondo InvestIndustrial di Andrea Bonomi, Della Valle, Pirelli, UnipolSai e la stessa Mediobanca. Ma di quale mercato stiamo parlando? Del mercato delle imprese, del Corriere versus Repubblica per capirci, o del mercato dei diritti di proprietà, che riguarda gli azionisti, componente cruciale ma non unica dell’impresa? Immagino si parli del secondo. Ma in gioco oggi non sono solo gli azionisti di Rcs, che qualcosina ottengono; qualche riflessione tocca anche ai soci di chi paga l’Opa, essendo Diego Della Valle l’unico a sborsare soldi suoi.

 

I “cinque della Piazzetta” sono pronti a lanciare un’Opa per cassa a 70 centesimi per azione sulla totalità del capitale Rcs. Che viene dunque valutato 362 milioni di euro. Si dicono inoltre disponibili a sottoscrivere fino a 150 milioni in un eventuale aumento di capitale di Rcs. L’impegno totale teorico supera dunque i 520 milioni. Naturalmente è possibile che l’esborso sia più contenuto se l’Opa registrerà adesioni inferiori al 100 per cento e non verrà lanciato alcun aumento di capitale. Nella Rcs pensata in Piazzetta Cuccia, il socio principale, con il 45 per cento, sarà Bonomi. Gli altri avranno il 13,75 per cento ciascuno.

 

La posizione di Bonomi è curiosa. Il 17 dicembre 2015 il gestore di InvestIndustrial ebbe dai vertici di Intesa Sanpaolo – non solo da Giovanni Bazoli – la proposta di entrare in Rcs attraverso un aumento di capitale al quale avrebbe potuto contribuire per 80-100 milioni raggiungendo così una partecipazione tra il 30 e il 40 per cento di Rcs e, con essa, la leadership dell’azionariato.

 

Bonomi lasciò cadere l’offerta che, sia pure per linee ancora generali, gli veniva da un azionista che era – ed è – il principale creditore. Ora l’impegno teorico immediato di InvestIndustrial ai fini dell’Opa è pari a 160 milioni e sale a 230 con l’eventuale aumento di capitale di Rcs. Qual é la logica? I fondi di private equity devono garantire un ritorno sul capitale medio annuo del 12-15 per cento nel giro di 4-6 anni. E’ sicuro che l’attuale gestione ci riesca? O sarà più comodo il classico spezzatino? Ed è più facile partire da 100 milioni o dal doppio nella stessa società e per una partecipazione sostanzialmente analoga?

 

Non meno curiosa è la posizione di Mediobanca e dei suoi sostenitori. Il consiglio di amministrazione di Rcs, espressione per lo più di questi azionisti, esclude aumenti di capitale per attuare il piano industriale in vigore. Secondo talune indiscrezioni non avrebbe nemmeno chiesto il rinnovo della delega a emissioni fino a 200 milioni, che gli era stata assegnata due anni prima, se Intesa Sanpaolo non l’avesse fortemente consigliato. Ecco, se Mediobanca e i suoi soci avessero varato in Rcs un aumento di capitale di 150 milioni subito, quando ancora il titolo Rcs quotava sotto il mezzo euro, avrebbero acquisito una posizione di assoluto predominio pagando parecchio meno di quanto pagheranno adesso e avrebbero messo i soldi nell’azienda.

 

Sarebbero stati, quei denari, ancora nel loro perimetro e non distribuiti a soci in uscita. Adesso, invece, Mediobanca, Della Valle, UnipolSai e Pirelli, oltre ai loro pacchetti di Rcs, mettono 120 milioni cash e altri 82 milioni si impegnano ad aggiungere nel prospettato aumento di capitale per avere una partecipazione complessiva inferiore. Di nuovo, dov’è la logica?

 

Certo, la posizione di Mediobanca è un po’ più comprensibile di quella di Bonomi. E’ un centro di potere che temeva di essere scavalcato da Intesa Sanpaolo sul fronte sensibile del Corriere. Forse, se Intesa Sanpaolo l’avesse coinvolta con Cairo, l’avrebbe “rabbonita”. O forse no. Certo è che, senza l’iniziativa di Cairo, l’Opa non sarebbe mai stata lanciata. Rcs avrebbe vivacchiato. Anni di cattiva gestione rendono non perfettamente credibili le promesse di magnifiche sorti e progressive in Via Solferino che abbondano nei comunicati. Ma tant’è. Chi vende non pensa al futuro del Corriere. Semmai si chiede che cosa farà Cairo. Al primo giorno dopo l’offerta, la Borsa ha già posizionato il titolo sopra i 70 centesimi immaginando chissà quali rilanci. Ma credo che ci vorrà pazienza. E qualche informazione in più. Per esempio, sull’aumento di capitale, citato nel comunicato stampa ma non in quello ex articolo 102, o sugli affari madrileni: quali sono i valori residui a bilancio e quale il valore di mercato teorico delle attività spagnole; chi  trattò Recoletos da una parte e dall’altra del tavolo, e chi girava attorno al tavolo. Nell’attesa vedremo se Intesa Sanpaolo chiederà a Rcs di rimborsare i debiti nel momento in cui soci tanto prodighi  impongono un cambio del controllo sgradito.

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