Andrea Bonomi (foto LaPresse)

Il Corriere e la zampata dei salotti

Stefano Cingolani
Prima Cairo, poi l’opa (con soldi) di Bonomi. Risiko, mosse, scenari.

Roma. Il Corriere della Sera a Urbano Cairo, proprietario de La7 e presidente del Torino? Sembrava fatta, ma la vecchia signora della finanza italiana è entrata a gamba tesa. A insidiarlo si sono mossi Diego Della Valle (Mr.Tod’s), Marco Tronchetti Provera (Pirelli), Carlo Cimbri (Unipol), guidati da Alberto Nagel (Mediobanca) il quale ha messo in campo il proprio cavaliere bianco: Andrea Bonomi, nipote della mitica Anna, la Signora dei Dané degli anni ’60-‘70, ha lanciato una vera e propria “riconquista” che lo ha trasformato nel finanziere più dinamico in piazza Affari. La loro offerta pubblica d’acquisto su tutte le azioni disponibili passa attraverso una società veicolo (una NewCo) costituita per l’occasione, alla quale i vecchi azionisti conferiranno il loro 22 per cento del capitale Rcs. La società sarà per il 45 per cento di Bonomi e per il resto degli altri quattro soci, in parti uguali. I titoli verranno pagati 70 centesimi, non 54 come nella offerta pubblica di scambio di Cairo, e saranno liquidati in contanti non con le azioni della Cairo Communication. Cairo rilancerà? “Non commento l’opa di Bonomi, l’ho vista sommariamente e la valuteremo con attenzione, ma non posso dire di vedere differenze pazzesche”, ha detto ieri sera dal Salone del Libro di Torino. “L’offerta di Bonomi e degli altri azionisti storici di Rcs valuta l’azienda 360 milioni più un debito di 411 milioni. Si arriva a 771 milioni, alla fine l’incremento rispetto alla mia è del 10 per cento”. Cairo avrebbe in cassa 100 milioni, ma con la sua offerta di scambio non rischiava i propri denari, adesso dovrebbe alzare il prezzo e aggiungere almeno una parte in contanti, sostenuto da Intesa Sanpaolo che lo ha lanciato in singolar tenzone.

 

Le battaglie di via Solferino (una decina da quando nell’ormai lontano 1973 Giulia Maria Crespi alzò bandiera bianca) ci hanno abituato a improvvisi colpi di scena, raramente però si era visto un tale ribaltamento dei ruoli. Un uomo nuovo come Cairo scuote i tradizionali azionisti, ancora groggy dopo l’uscita della Fiat inattesa nei modi e nei tempi, ma usa vecchi mezzi  (carta contro carta). I vecchi soci, invece, si risvegliano all’improvviso e utilizzano metodi nuovi (quattrini sonanti fino a 150 milioni di euro) guidati proprio da Mediobanca che è sempre stata la protettrice del capitalismo senza capitali. Sarà che il mondo antico non vuole arrendersi, sarà che si stanno rimescolando non solo gli equilibri dell’editoria, ma anche quelli di Milano e della stessa politica italiana. Certo, la posta è alta. Se ne può trovare traccia persino nel comunicato: “Gli Offerenti intendono creare un gruppo multimediale internazionale”. Naturalmente “garantiscono il prestigio e l’indipendenza delle testate giornalistiche”.

 

Nell’offerta di Bonomi per Rcs, c’è anche un nucleo di piano editoriale perché si parla di “particolare interesse rivolto agli eventi sportivi e allo sviluppo dei prodotti digitali”. Prendendolo alla lettera, la Gazzetta dello Sport diventerebbe la punta di diamante. Sembra quasi una sfida a Cairo sul suo stesso terreno.

 

Il lato debole è la mancanza di una televisione, un buco che ha sempre frustrato ogni tentativo fatto da Rcs per portare a bordo un socio estero di un qualche rilievo. Bonomi ci metterà tra i 70 e gli 80 milioni, gli attuali azionisti una quindicina a testa. Ma per rientrare dai debiti e rilanciare Rcs ce ne vorranno molti di più. Cairo fa di mestiere soprattutto l’editore e ha una tv, però la sua carta stampata ha un formato ultra popolare e sul piccolo schermo finora non ha prodotto nessun blockbuster. Abile nel tagliare i costi, non si è dimostrato un prodigo: La 7 gli è stata ceduta da Telecom Italia per un milione di euro soltanto, adesso che il mercato televisivo è scosso dal conflitto tra Vivendi e Sky, si trova schiacciata, ancor più che la Rai e Mediaset, nel combattimento dei colossi.

 

In un settore così particolare come l’editoria, sempre vissuta facendo da voce alla politica, bisogna chiedersi fino a che punto è coinvolto il pasoliniano Palazzo. Su Matteo Renzi i maggiori soci della Rcs oscillano tra l’entusiasmo per il governo del fare e una cautela che inclina al sospetto, tuttavia sono vicini a un centro-destra moderato. Anche Cairo proviene dal coté conservatore, eppure nella sua tv prevale un umore pentastellato, che trova una solida sponda in Marco Travaglio. D’altronde, dopo l’accordo tra Carlo De Benedetti e John Elkann, chiunque vinca dovrà collocare il Corriere della Sera su un versante diverso da Repubblica-Stampa.

 

Poiché siamo a Milano e in via Solferino, la partita editoriale svela anche il risiko bancario. Cairo è stato lanciato nell’arena da Intesa Sanpaolo il cui presidente, appena diventato emerito, cioè Giovanni Bazoli, ha fatto sempre da arbitro nella Rcs, anche durante l’èra Fiat. Mediobanca, a sua volta, teneva insieme gli industriali privati ausiliari del sovrano torinese. Cuccia aveva sconsigliato in più occasioni l’ingresso nella Rizzoli (lui che era stato giornalista da giovane, al Messaggero, non voleva avere niente a che fare con la stampa); ma faceva sentire la moral suasion. Mediobanca non vuole “farsi sfilare” il Corriere della Sera. Intesa che vanta crediti per oltre 162 milioni di euro, preferisce recuperarli al più presto o rilanciare finanziando il suo cavaliere?
Nagel fino a pochi giorni fa negava alternative a Cairo, intanto ha cercato di coinvolgere Carlo Pesenti, senza successo. Anche Bonomi ha esitato, ma poi si è fatto convincere dal suo amico. Per lui sarebbe il coronamento di un sogno che aveva accarezzato anche sua nonna, e il culmine di una lunga scalata: negli ultimi tempi ha comperato un po’ di tutto, da Artsana (Chicco, Pic, Control) alla Aston Martin, dalla Ducati (poi rivenduta a Volkswagen) a Valtur fino alle scarpe Sergio Rossi. Ha tentato di guidare la Banca Popolare di Milano, ma è stato sconfitto dai sindacati e dalle rivalità interne. Mancata la banca, adesso c’è il giornale.

 

Per Mediobanca è una rivincita. Dopo essere stata emarginata da Elkann, ha scelto di distribuire le carte francesi: sostiene Vincent Bolloré in Telecom Italia e in Mediaset (e l’azionista numero due della banca d’affari non può non essere stato consultato sull’opa), ha portato Philippe Donnet al vertice delle Generali e fa da pivot al flusso di capitali che si è incanalato verso l’Italia. Intanto, rispunta un vecchio progetto come la fusione con Unicredit, oggi primo azionista in piazzetta Cuccia. Insomma, non solo informazione; nel gran ballo di via Solferino, la politica e l’alta finanza non fanno mai da comparse.