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La nuova America della Fiat

Ugo Bertone
Dopo la traversata per arrivare a Detroit (e a Obama), Marchionne è respinto dalle Big Three ma cerca la Silicon Valley. Aggirando l’asse elettrico di Merkel. Il manager in pullover ha avvertito anche l’indotto in Italia. Ora lo scrivono anche Stampa e Corriere della Sera.

Dieci milioni di smartphone in meno in soli tre mesi. Una frenata amara che ha provocato un salasso a Wall Street due giorni fa (meno 7 per cento) quasi inedito nella storia di Apple, e un’altra apertura negativa ieri. La trimestrale del colosso di Cupertino non segna proprio la caduta degli dèi, ma poco ci manca: forse la fine della quasi infinita crescita delle vendite dell’iPhone (tredici trimestri di fila) non colpisce infatti tanto i profitti di Apple, comunque miliardari, quanto la sensazione di onnipotenza alimentata dai continui successi della macchina da guerra creata da Steve Jobs. Certo, lo stop può essere solo temporaneo ma lo shock resta: la Mela ha urgente bisogno di creare una next big thing, ovvero di un nuovo oggetto del desiderio per il consumatore globale. E che cosa di meglio dell’iCar, o AppleCar, che è molto di più di una nuova auto?

 

Poche ore prima dell’annuncio della trimestrale del colosso hi tech, anche Fiat Chrysler Automobiles (Fca) aveva rilasciato i conti del trimestre: grazie a una strepitosa crescita in Nord America, i primi dati Fca dopo la separazione di Ferrari, sono in forte salita. Ma il titolo soffre: troppi debiti, poca visibilità sul futuro, dicono gli analisti. Sergio Marchionne non ce l’ha fatta a convincere i colleghi sull’utilità di una fusione: dopo il no di Gm è arrivato quello, cortese ma fermo, di Mark Fields, numero uno di Ford. E così il manager in pullover rischia di tirare avanti “in mediocrity” (l’espressione è sua). Ma lui, per dare il meglio di sé, ha bisogno di una big thing, in grado di segnare l’industria a quattro ruote. Anche così si può raccontare la marcia di avvicinamento di Davide-Fca al Golia dell’età digitale diretto da Tim Cook. Molti segnali indicano che l’incontro si avvicina, o almeno si lavora perché sia così: Marchione, convinto Apple freak, lascia sempre più spesso intendere che “qualcosa faremo con aziende che non sono nel settore”. Sabato scorso il Foglio ha rivelato che il ceo di Fca starebbe già mettendo alla frusta i fornitori del gruppo, in Europa e in Italia come negli Stati Uniti, perché si preparino alla sfida: l’automobile della Silicon Valley, Apple o non Apple. Ieri, parlando dei progetti futuri di Fca, la Stampa – quotidiano storico della famiglia Agnelli – ha confermato che Marchionne si è detto impegnato in continui colloqui sul fronte delle alleanze, anche nel settore tecnologico: “Ovviamente con chi è interessato. Dobbiamo essere aperti, molto open minded, non possiamo essere selettivi. E abbiamo bisogno di tempo”, ha aggiunto. Anche il Corriere della Sera, di cui gli Agnelli sono il primo azionista seppure in uscita, ha dedicato ieri un articolo alla “spinta hi-tech” del Lingotto verso la Silicon Valley: “Richiederà un lungo periodo di gestazione ma il timer si è già attivato verso quelle tecnologie – auto elettrica e guida autonoma – che consentiranno alleanze proiettate nella realtà futura”.

 


Sergio Marchionne (foto LaPresse)


 

La novità più importante, in casa Apple, arriva invece dal divorzio tra la Mela con i colossi tedeschi dell’automotive: dopo mesi di trattative e di meeting incrociati, i produttori d’oltre Reno e il team americano hanno preso atto che non ci sono margini per una collaborazione. Il motivo? Il rifiuto di Apple di condividere informazioni strategiche, custodite gelosamente nei data base del gruppo. Ma all’origine, come ha commentato la rivista di inchieste Stern, c’è un dissidio ideologico: per i costruttori tedeschi le meraviglie dell’auto che si guida da sola, così come i progressi dell’auto elettrica, vanno riservati per ora alle auto top di gamma, per difendere il primato del lusso tedesco. Al contrario Apple, così come Google, punta a un prodotto di diffusione di massa, in grado di rivoluzionare il concetto stesso di mobilità.

 

La differenza ideologica si riflette anche nelle scelte dei governi. La Germania, in attesa di superare l’emergenza Dieselgate, sta schierando le sue forze per respingere gli intrusi che minacciano la leadership industriale a quattro ruote. Non solo Bmw, Daimler e Audi si sono messe assieme per comprare le mappe di Here, il navigatore ex Nokia che consentirà di mettere a punto sistemi di guida automatica, ma in questi giorni si è mosso il governo federale. E’ in via di approvazione, infatti, un sistema di incentivi per l’auto elettrica, in buona parte a carico del bilancio statale. L’obiettivo? Un milione di auto elettriche sulle strade tedesche entro il 2020, un risultato che, secondo i vertici delle Case automobilistiche della prima potenza economica europea, potrà essere raggiunto solo con l’aiuto di stato sotto forma di bonus agli automobilisti. Insomma, come nei giorni della crisi del 2008, l’industria europea, Germania in testa, sceglie la strada del sostegno pubblico per difendere le proprie posizioni. Nel frattempo la burocrazia tedesca moltiplica il pressing su Bruxelles per rallentare a proprio vantaggio la riforma delle regole sulle emissioni in sede comunitaria, nel solco di una lobby molto potente e radicata: nel 2015, prima del Dieselgate, la cancelliera Angela Merkel protestò vivacemente (fonte Financial Times) contro la California per le norme sull’auto pulita che danneggiavano Volkswagen. In questa cornice, l’auto rischia di imboccare una strada opposta a quella consigliata da Marchionne: invece di procedere sulla strada delle alleanze tra produttori e del taglio delle spese, si va verso un confronto dispendioso, supportato dai paesi che hanno soldi da spendere per sostenere le industrie nazionali. E ricco di insidie, come dimostra il ritiro di 1,1 milioni di vetture Fca per difetti di costruzione, un pericolo sempre più in agguato in Europa come negli Stati Uniti. Anche questa tendenza, come nel 2008, spinge Fiat Chrysler verso una (nuova) alleanza americana. Stavolta non nella vecchia Detroit, al momento ringalluzzita da sette anni di boom, che snobba l’alleanza con Marchionne. Ma più a ovest, nella terra dell’iPhone e delle Google car senza guidatore che già sfrecciano a migliaia sulle strade attorno a Mountain View. Qui l’esperienza di Fiat – scommettono i più ottimisti – potrebbe risultare preziosa nello sviluppo del design e dell’architettura dell’auto elettrica che Apple intende lanciare entro il 2020. D’altronde non tutto sembra filare a dovere nel progetto Titan di Cupertino, come dimostra l’addio di Steve Zadesky, il manager che ha guidato l’avventura fino poche settimane fa, sostituito da Chris Porritt, in arrivo da Tesla. Senza trascurare che l’estate scorsa Apple ha assunto Doug Betts, ex responsabile della qualità di Fiat Chrysler.

 

Bastano questi indizi ad avvalorare la pista Apple? Forse conta di più, come nel 2008, la flessibilità italiana, che è riuscita in Chrysler a centrare quei risultati che Daimler, nonostante l’impiego di capitali e cervelli, aveva mancato. “Apple ha un suo linguaggio – ha detto nel marzo scorso Marchionne – e bisogna saperlo parlare per dialogare con loro. In genere l’industria dell’auto dimostra una certa arroganza, giustificata da un know how secolare. Ma questo non è di alcun aiuto in questo caso: la loro sintassi vale di più della nostra capacità di costruire macchine”. Insomma Davide Fiat può essere la soluzione giusta per accelerare lo sbarco di Golia-Apple, gigante con 200 miliardi di dollari da investire, nel mondo della mobilità, l’ultima Grande Cosa che resta da conquistare dopo l’iPhone, l’iPad, l’iWatch e altre meraviglie che hanno smesso di stupire. Nei prossimi mesi si vedrà se la grande intesa decollerà. E quali conseguenze comporterà per gli assetti di Fca, visto che Marchionne intenzione di passare alla storia come il manager che ha traghettato Fiat verso il futuro, non come un liquidatore o un semplice venditore. Ma la strada è tracciata e porta oltre Oceano, aggirando l’asse elettrico della Grande Germania.