"Salva banche". Si salvi chi sa!

Luciano Capone
Renzi difende il decreto e invita a non strumentalizzare il suicidio del pensionato. Il caso però dimostra un problema tutto italiano: siamo un popolo di risparmiatori, ma di risparmio non capiamo granché. Ecco i dati

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi rivendica la bontà del decreto "Salva banche" ma invita a non strumentalizzare il caso del pensionato che si è suicidato in seguito alll'azzeramento delle obbligazioni di Banca Etruria, secondo la nuova legislazione bancaria approvata dal governo a novembre in ossequio alle direttive comunitarie per salvare dal fallimento Etruria e altre tre banche piccole e medie del centro Italia. "Non sono abituato a strumentalizzare la vita e soprattutto la morte delle persone. Naturalmente il governo esprime il proprio dolore". Il premier ha aggiunto però che senza il decreto, "la situazione sarebbe stata anche peggiore: almeno, abbiamo salvato migliaia di conti correnti. Tuttavia – ha aggiunto – stiamo cercando di poter individuare una soluzione, soprattutto per gli obbligazionisti, nei limiti delle regole europee, una forma di 'ristoro'". Infine, Renzi si è detto favorevole alla creazione di una commissione di inchiesta sul sistema bancario e ha rivendicato la "solidità" di quello italiano. "Le regole delle banche adesso le decide l'Europa. Molti paesi hanno messo molti soldi per salvare le banche, anche la Germania. L'Italia no. Oggi le regole sono cambiate, anche se volessimo non potremmo fare come hanno fatto altri paesi in passato. Il sistema italiano è oggettivamente più solido di quello tedesco, ma alcune realtà avevano bisogno di interventi immediati".

 


 

Milano. Gli italiani sono un popolo di risparmiatori, il problema è che di risparmio non capiscono granché. Il caso degli obbligazionisti e investitori coinvolti, loro malgrado, nel salvataggio delle quattro banche rimesse in carreggiata dal governo via decreto riapre la discussione sui risparmiatori “truffati” o “raggirati” perché spinti ad acquistare azioni o obbligazioni subordinate rischiose ma vendute come sicure. E’ una situazione già vista, che in Italia si verifica più o meno negli stessi termini dopo ogni scandalo o crac finanziario, con chi da un lato difende i risparmiatori truffati e dall’altro chi non se la sente di assolvere chi ha investito in veicoli rischiosi in cambio di rendimenti più alti.

 

Vista la ciclicità con cui questi eventi si verificano, una questione cruciale di cui si parla poco è la scarsa conoscenza finanziaria degli italiani che li porta, più o meno consapevolmente, a fare investimenti sbagliati. I dati delle classifiche internazionali sul tema sono una bocciatura senza appello: secondo il World Competitiveness Index dell’Imd (International institute for management development) l’Italia è al 44esimo posto e all’ultimo tra i paesi del G8 per diffusione di educazione finanziaria. Ciò vuol dire che gran parte degli italiani è incapace di fare scelte finanziarie vantaggiose, di valutare consapevolmente i rischi ed evitare decisioni controproducenti.

 

Dallo studio sulla “Cultura economico-finanziarie degli italiani” a cura delle università Cattolica, Bicocca, dell’Invalsi e del consorzio PattiChiari, emergono gravi lacune sulla conoscenza di alcuni importanti concetti della finanza di base, come il calcolo dell’interesse semplice e composto, la relazione tra rischio e rendimento, la nozione di diversificazione e il concetto di inflazione, con un punteggio molto distante da quello dei tedeschi. “Le risposte fornite dagli intervistati hanno evidenziato, da un lato, una scarsa familiarità con il calcolo numerico e una limitata conoscenza del sistema di capitalizzazione, dall’altro, una discreta padronanza dei concetti elementari della finanza. Solo il 22 per cento del campione, però, è riuscito ad applicare le conoscenze matematico-finanziarie ai concetti di finanza, scegliendo correttamente tra due opportunità di investimento sulla base dei profili di rischio e rendimento atteso”, dice lo studio.

 

Con una conoscenza finanziaria di questo livello non è affatto difficile per i risparmiatori fare la fine di Pinocchio, convinti dal Gatto e la Volpe di turno a sotterrare gli zecchini d’oro in un campo Campo dei miracoli in attesa di un albero carico di monete. Ciò non giustifica i comportamenti poco professionali e fraudolenti di chi spinge le persone a bruciare i risparmi in titoli rischiosi, ma di certo una migliore istruzione finanziaria tutelerebbe i risparmiatori più della benevolenza e della trasparenza di chi vende strumenti finanziari.

 

L’educazione finanziaria ha un’importanza individuale perché permette di usufruire dei vantaggi che può offrire il mercato (e di fuggire i pericoli), ma ha anche una rilevanza pubblica se, come ha affermato l’Ocse, “è un pilastro essenziale per la stabilità dei mercati finanziari”. Tra l’altro nel futuro le scelte finanziarie degli individui e delle famiglie saranno molto più importanti che in passato per il fatto che si andrà verso meccanismi come il bail-in che, a differenza dei salvataggi pubblici (bail-out), coinvolgerà sempre di più investitori, azionisti e obligazionisti a sopportare i costi dei default bancari.

 

I giovani non fanno meglio

 

Lo stesso discorso vale per il sistema pensionistico, che in futuro si baserà sempre di più sul pilastro privato e quindi sulle scelte individuali di risparmio e investimento che richiederanno un grado maggiore di conoscenze e sofisticatezza. Ma anche sul pensionistico le cose non vanno bene. L’ex ministro Elsa Fornero insieme a Chiara Monticone, in uno studio sull’alfabetizzazione finanziaria e la partecipazione ai fondi pensionistici in Italia, scrive che l’educazione finanziaria ha un impatto positivo sulla propensione al risparmio attraverso piani privato per la pensione, ma in Italia la situazione non è delle migliori: “L’analisi empirica mostra che la maggior parte degli individui non conosce i concetti di base come i tassi d’interesse e l’inflazione”.

 

[**Video_box_2**]Come per altre questioni rilevanti, per un futuro migliore bisogna guardare ai giovani. Ma anche qui le cose non vanno bene. Secondo l’indagine Pisa dell’Ocse sull’alfabetizzazione finanziaria degli studenti, l’Italia fa segnare “un punteggio inferiore alla media Ocse”. Per la precisione siamo penultimi su 18 paesi considerati tra quelli di antica industrializzazione, davanti solo alla Colombia: oltre il 20 per cento degli studenti è nel livello più basso di conoscenze e solo il 2 per cento in quello più alto: “Le principali competenze acquisite dagli studenti a scuola non includono competenze che consentirebbero loro di ottenere buoni risultati nell’indagine sull’alfabetizzazione finanziaria”, dice lo studio dell’Ocse. Insomma, siamo un paese di Pinocchi che rischiano di gestire male i propri zecchini d’oro pur andando a scuola.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali