La samba dei numeri dell'Istat

Marco Cecchini

Gincana tra i rialzi decimali del pil. Il paese è appeso a statistiche microbiche e polemiche tenorili. Dalle Banche centrali arriva la lezione per una profonda analisi dei dati

Roma. E’ il quesito del momento e non è solo un tema per addetti ai lavori, bensì carico di risvolti politici: di quanto crescerà l’economia italiana nel 2015? Dello 0,7, dello 0,8 o dello 0,9 per cento? Non provate a dare una risposta, perché le statistiche sul pil ballano ogni anno a ritmo di samba. Se lo aveste chiesto agli uffici dell’Istat, il nostro Istituto centrale di statistica, il 5 maggio scorso vi avrebbe detto dello 0,7 (prima nota sulle Prospettive dell’economia italiana), il 5 novembre dello 0,9 (seconda nota sulle Prospettive dell’economia italiana), il 4 dicembre ancora dello 0,7 (nota mensile sull’andamento dell’economia) e il 5 dicembre, un giorno dopo, dello 0,8 (nota di precisazione diffusa alle agenzie). Nello spazio di un mese in altre parole la previsione è oscillata di oltre il 20 per cento. Forse non è un caso che l’Istat, con una punta di humour britannico che gli fa onore, abbia dedicato una sezione del proprio sito web alle frasi celebri in cui si diffida delle statistiche. Come quella di Winston Churchill (“le uniche statistiche di cui ci possiamo fidare sono quelle che abbiamo falsificato”) o del fisico Niels Bohr (“le previsioni sono estremamente difficili. Specialmente sul futuro”). Nel mondo accademico si dibatte sulla accuratezza e sulla attendibilità delle stime sulla crescita, non solo in Italia ma in tutti i paesi avanzati. Quelle italiane tra l’altro non sfigurano nel panorama internazionale. Ma ciò non toglie che la loro aleatorietà comporti problemi non indifferenti, perché alla samba dei numeri si accompagna quella degli umori politici e l’andamento del prodotto lordo calcolato dall’Istituto centrale è diventato un termometro di successo/insuccesso del governo fin troppo sfruttato, da una parte e dall’altra.

 

Quest’anno l’andamento dei conti trimestrali del pil certificato dall’Istat ha disegnato una sinusoide: discesa, risalita, discesa con piccola correzione finale all’insù. La stima estiva di un aumento del pil (trimestre su trimestre) di appena lo 0,2 per cento nel periodo aprile-giugno ha innescato il tema evergreen dell’“Italia fanalino di coda” e quello della insufficienza delle riforme messe in campo dal governo Renzi. La successiva correzione a 0,3 del dato ha acceso le speranze del premier che è giunto a pronosticare uno sviluppo dell’1 per cento nel 2015. La pubblicazione delle stime sulla crescita, fiacca e sotto le attese, del terzo trimestre ha infine ridato fiato all’opposizione (“la ripresa non c’è, Renzi è un bluff”) e al partito dei pessimisti.

 

Ora le lancette si sono fermate a più 0,8, dato che peraltro il governatore della Banca d’Italia aveva indicato in precedenza. Ma qualche economista, sottovoce, ritiene non impossibile che a fine anno si raggiunga lo 0,9 come è nelle previsioni ufficiali dell’esecutivo – non del premier che parla di 0,8 –, soprattutto se l’effetto paura connesso alle minacce del terrorismo dovesse rivelarsi meno intenso e meno duraturo di quanto temuto.

 

[**Video_box_2**]Sono più affidabili Fed e Bce oppure l’Istat?

In ogni caso i naviganti ora sono avvisati: convenzionalmente i dati sono suscettibili di aggiornamento e rettifica per un periodo che può arrivare a 5 anni, per cui anche la prima stima “definitiva” sull’andamento del pil italiano nel 2015 che l’Istat rilascerà il 12 febbraio 2016 sarà di fatto “provvisoria”. Non sarebbe la prima volta che accade. Il prodotto lordo del 2011, l’anno della catastrofe italiana quando la crescita superò il 2 per cento, nel 2014 è stato rivalutato per esempio di 59 miliardi per il passaggio alla metodologia di calcolo Sec 2010. Dunque? La morale della storia è che la samba dei numeri dovrebbe lasciare il posto a un più sobrio ballo del mattone e questo chiama in causa il ruolo dell’Istat. In ogni caso le stime andrebbero prese con beneficio d’inventario. Del resto, a farlo sono per prime le Banche centrali (Fed e Bce) che non fidandosi delle statistiche ufficiali hanno elaborato loro modelli econometrici di analisi. Se Janet Yellen, presidente della Fed, la prossima settimana aumenterà i tassi d’interesse americani non lo farà solo sulla base delle informazioni fornite dal National Bureau degli Stati Uniti, ma a partire dalla loro coerenza con gli esiti del modello econometrico della Federal Reserve.         

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