Se il Regno Unito risveglia la siderurgia europea dal torpore
Roma. La spinta britannica ha motivato un’iniziativa europea di sensibilizzazione contro l’inondazione d’acciaio cinese in Europa. Su recente impulso del Business secretary inglese, Sajid Javid, lunedì si sono riuniti i principali produttori europei per discutere la questione. La siderurgia britannica è in difficoltà per via del dumping cinese – prezzi all’esportazione inferiori a quelli di vendita sul mercato interno – che rischia di costare oltre 4.000 posti di lavoro nel Regno Unito. L’indiana Tata ha annunciato tagli alla produzione e alla forza lavoro. Capero gestisce venti impianti, sedici dei quali sono commissariati. Il boss di Capero Angad Paul, 45 anni, figlio del miliardario Lord Paul, è stato trovato morto domenica, caduto dal suo attico a Londra. Lunedì hanno parlato presso la sede di Eurofer, la lobby siderurgica europea, Robrecht Himpe (Arcelor Mittal), Kartl-Urlich Kohler (Tata), Axel Eggert (DG Eurofer), Mario Caldonazzo (Arvedi), Andreas Goss (ThyssenKrupp), Francesc Rubiralta Rubio (Celsa). Le esportazioni di Pechino sono sotto prezzo: la siderurgia infatti cinese sta perdendo 4,5 miliardi di dollari al mese (70-80 milioni la tonnellata d’acciaio), significa circa 50 miliardi di perdite annue, un costo insostenibile senza sussidi di stato. Il conferimento dello status di “economia di mercato” alla Cina da parte dell’Organizzazione mondiale del commercio potrebbe rallentare azioni comuni di contrasto a pratiche commerciali giudicate sleali dal blocco europeo.
Grossi tormenti “made in Deutschland”
La Germania vive una contraddizione rispetto a questa inondazione d’acciaio cinese. I tedeschi hanno rinunciato da anni agli acciai comuni e si sono specializzati sull’alta gamma, come il lamierino magnetico usato negli impianti di trasmissione elettrica. Nella grande industria ci sono però sensibilità divergenti. Thyssen vorrebbe misure protezionistiche, mentre Siemens, che importa acciaio magnetico dai cinesi, no. Il governo tedesco è stato incapace di prendere posizione a favore dell’uno o dell’altro.
I cinesi e i nostri equilibri, parla Calzoni
“E’ un momentaccio per la siderurgia italiana – dice al Foglio Ugo Calzoni, manager Lucchini per ventiquattro anni – Oggi sbarcano travi d’acciaio cinese nei porti a un costo inferiore all’acciaio da rottame in un momento in cui da due anni il consumo italiano di tondo per cemento armato è di una quantità che solo due aziende riuscirebbero a coprire. I bresciani di Alfa Acciai, Feralpi e Acciaierie Valsabbia hanno lavorato per tre anni con i più grandi gruppi consulenza – si è speso anche Giovanni Bazoli, bresciano e dominus di Intesa Sanpaolo e Ubi Banca – per cercare delle sinergie ma dopo vari giri di walzer non hanno concluso nulla. La quarta importante azienda, la Stefana di Ospitaletto, sette mesi fa ha dichiarato fallimento e le sue aree sono state rilevate dalla Esselunga di Bernardo Caprotti per fare un centro logistico. Così il baricentro della siderurgia del nord si è spostato tra Vicenza e Udine dove imperano i Banzato e i Pittini, forti nei prodotti lunghi come il laminato mercantile e appunto il tondo per cemento armato”.
Il “bacio della morte” di Assennato all’Ilva
Il direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, tra i 47 imputati nel processo “Ambiente svenduto”, al convegno “Ilva, salute e lavoro: una sfida da vincere”, organizzato da Rifondazione comunista il 4 novembre scorso, ha ripetuto due volte che dal punto di vista dell’agenzia da lui diretta, e che tra tre mesi lascerà, “laddove l’Ilva dovesse tornare a produrre ai livelli di sostenibilità economica – ovvero almeno quelle otto milioni di tonnellate circa all’anno raggiunte soltanto alla fine della gestione Riva nel 2012, ndr – anche applicando il 100 per cento delle prescrizioni previste dalla Autorizzazione integrata ambientale rimarrebbe incompatibile con la salute e con l’ambiente”.
Il commissario Gnudi adesso vede “gente”
Il commissario straordinario all’Ilva, Piero Gnudi, 77 anni, nominato a giugno 2014 al posto di Enrico Bondi, dopo avere sondato senza successo nei mesi scorsi alcune società siderurgiche italiane e straniere disposte a rilevare gli stabilimenti tarantini (ArcelorMittal, Jws Steel, Emirates Steel, Companhia siderúrgica nacional, Texas Pacific, Marcegaglia, Arvedi) è tornato a invocare l’urgenza di creare un’entità separata e priva di pendenze legali e finanziarie detta “newco” – non ancora costituita – per prendere in affitto gli impianti e poi rivenderli. A detta di Gnudi anche ora c’è “gente interessata all’azienda”.
Soccorso “militare” agli operai tarantini?
[**Video_box_2**]L’ammiraglio di squadra, Giuseppe De Giorgi, capo di stato maggiore della Marina militare, cioè il comandante supremo della Marina, forza impegnata a fronteggiare un’epocale ondata migratoria nel Mediterraneo, è sembrato tendere la mano a Ilva venerdì 6 novembre durante la cerimonia di cambio al vertice del Comando marittimo sud; il comando che provvede a difesa, organizzazione territoriale e costiera, dei porti, del dragaggio, della marina mercantile, del traffico, e alla vigilanza aerea sul nemico nel quadrante meridionale. “Noi conosciamo l’importanza di risolvere nel migliore dei modi il problema occupazionale legato al siderurgico. L’Ilva può trovare una compensazione”. La crisi dell’azienda è ormai conclamata ma finora nessun alto funzionario dello stato era arrivato a ipotizzare il reimpiego della forza lavoro del siderurgico che si compone di 11.500 addetti diretti dell’età media di 35 anni circa. “Se noi riuscissimo effettivamente a sbloccare il turn-over e rilanciare l’arsenale – ovvero il bacino d’impiego pubblico pre-Ilva ora pressoché in disarmo – e le sue potenzialità, non c’è dubbio che questo potrebbe essere messo anche a sistema dal punto di vista socio economico con la gestione del problema Ilva”, ha detto.