Sergio Marchionne (foto LaPresse)

Sergio che ha cambiato l'Italia

Claudio Cerasa
Produttività o morte. Il nuovo bipolarismo nel lavoro imposto da Marchionne (e Draghi). In Italia i protagonisti sono Renzi, Marchionne e Squinzi (più Draghi) e in ballo c’è una scommessa legata al futuro del nostro paese: fottere chi voleva fottere la produttività, dare il colpo finale alla concertazione.

Sono passati dodici anni ma lo schema è sempre quello: un pezzo grosso dell’industria automobilistica che con anticipo rispetto al mondo industriale intuisce la direzione giusta che avrebbe dovuto imboccare il proprio paese per diventare più competitivo e non farsi strozzare dalla rigidità del mercato del lavoro. Nel 2003 lo schema venne eseguito in modo perfetto in Germania e i protagonisti di quella rivoluzione furono Peter Hartz, già capo delle risorse umane di Volkswagen, Gerhard Schröder, cancelliere tedesco, e Michael Rogowski, capo della Confindustria tedesca.

 

La rivoluzione consistette in questo: in un momento di crisi della Germania, un pezzo importante della classe dirigente si rese conto che l’unico modo per dare una spinta al mercato del lavoro sarebbe stato trasformare in modo radicale il sistema della stipula dei contratti dando meno spazio alla contrattazione collettiva nazionale e più spazio a quella aziendale. I sindacati combatterono ma alla fine trovarono l’accordo, il governo mise il suo timbro e nel giro di pochi anni la produttività della Germania fece un balzo clamoroso: più 36 per cento, dal 1999 al 2008. Oggi, in Italia, lo schema è simile, i protagonisti sono Renzi, Marchionne e Squinzi (più Draghi) e in ballo c’è una scommessa legata al futuro del nostro paese: fottere chi voleva fottere la produttività, dare il colpo finale alla concertazione. Tra questi player, il personaggio che per primo ha però smosso in modo clamoroso le acque del mercato del lavoro è certamente Marchionne. E a voler riavvolgere il nastro, il ruolo dell’amministratore delegato di Fca, è stato decisivo non solo per accelerare la trasformazione del nostro modello produttivo ma anche per costringere le forze politiche a fare i conti con un sistema che semplicemente non funzionava più.

 

[**Video_box_2**]Comincia tutto nel 2010, quando Marchionne uscì da Confindustria anche per superare il sistema di contrattazione nazionale, e il percorso si conclude oggi con le due botte del governo Renzi: contratto a tutele crescenti con ridimensionamento dell’articolo 18 e ora, esattamente come nel 2003, la riforma annunciata sulla contrattazione aziendale che il governo presenterà dopo la legge di stabilità. Marchionne, da questo punto di vista, sfidando lo gnè gnè della sinistra a vocazione Podemos, ha contribuito a riformare il paese più di qualsiasi altro leader politico. In questi anni, a sinistra e a destra, qualcuno lo ha seguito, altri lo hanno condannato, in molti non lo hanno capito. Ma se la direzione del governo verrà confermata e Renzi  darà il colpo finale alla concertazione sarà difficile non riconoscere che il vero bipolarismo, specie nel mercato del lavoro, non è più tra destra e sinistra ma è tra marchionnismo e landinismo. Scegliete pure voi da che parte stare.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.