Alexis Tsipras e il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis (foto LaPresse)

Così Apple e Ryanair danno lezioni di mercato agli economisti fan di Tsipras

David Carretta
Gli “ecolumnisti” che hanno sostenuto Alexis Tsipras nella sua guerra contro i creditori “criminali”, che hanno prestato centinaia di miliardi alla Grecia chiedendo in cambio al paese di entrare nella modernità, quasi ci sono rimasti secchi ieri, quando si era sparsa la voce che il primo ministro greco avrebbe potuto annullare il referendum.

Bruxelles. Gli “ecolumnisti” che hanno sostenuto Alexis Tsipras nella sua guerra contro i creditori “criminali”, che hanno prestato centinaia di miliardi alla Grecia chiedendo in cambio al paese di entrare nella modernità, quasi ci sono rimasti secchi ieri, quando si era sparsa la voce che il primo ministro greco avrebbe potuto annullare il referendum di domenica. Molti degli economisti di scuola neo-keynesiana, diventati columnist alla moda ossessionati dall’austerità per superare lo choc della sconfitta storica delle loro politiche economiche, avevano già fatto dichiarazione di voto. “Io saprei come votare”, aveva scritto sul Guardian il premio Nobel Joseph Stiglitz. Un “sì” significherebbe “depressione quasi senza fine”, un “no” permetterebbe alla “Grecia, con la sua forte tradizione democratica” di “riprendere in mano il suo destino”. Forse il futuro non sarà “prospero come il passato”, ha riconosciuto Stigliz, ma sicuramente è meglio della “tortura immorale del presente”. Come lui, un altro premio Nobel aveva invitato i greci a compiere il grande balzo verso l’ignoto. Secondo Paul Krugman, “è tempo di mettere fine” all’idea secondo cui sia impensabile uscire dall’euro. “Altrimenti la Grecia avrà di fronte un’austerità infinita e una depressione con nessun cenno di una fine”. In fondo, aveva spiegato il premio Nobel nella sua column sul New York Times, “gran parte del caos temuto per una Grexit è già accaduto. Con le banche chiuse e i controlli sui capitali, non ci sono altri danni che possono essere fatti”.

 

Alla fine il loro eroe non li ha delusi: Tsipras ha confermato il referendum, ma ci hanno pensato Apple e Ryanair a ricordare a Krugman che i fondamenti dell’economia globalizzata del XXI secolo valgono anche per la Grecia. Visto il divieto di esportare euro greci salvo autorizzazione del ministero delle Finanze, Apple e Ryanair hanno smesso di accettare i pagamenti con le carte di credito emesse da banche elleniche. Niente più App e iCloud. Biglietti aerei (low cost) solo in contanti, facendo la fila in biglietteria dopo quella al bancomat per ritirare 60 euro. Altri economisti neokeynesiani, che hanno consigliato Tsipras sul da farsi, si sono in realtà dimostrati più prudenti, ora che la Grexit si è fatta possibilità molto concreta. La nuova star Thomas Piketty ha detto che l’uscita dall’euro sarebbe “una grande catastrofe” e ha accusato “gli apprendisti stregoni che si immaginano di portare la stabilità nella zona euro espellendo un membro per educare gli altri”. Jeffry Sachs la fa semplice: “La Grecia dovrebbe solo dire no alle richieste inaccettabili dei creditori, smettere di pagare, restare nell’euro, ma senza il peso del debito”. Il più serio, Martin Wolf del Financial Times, ha ammesso che non saprebbe cosa votare nel referendum. “Sarei tentato di tenermi il male che conosco, ma forse farei meglio a rischiare il mare blu scuro”. Secondo Wolf, un “sì” offrirebbe un futuro “spiacevole e incerto, ma almeno immaginabile”, mentre un “no” significherebbe recuperare la “sovranità monetaria” e, se tutto va bene ma non si sa quando, competitività.

 

La facilità con cui gli “ecolumnisti” giocano con gli effetti della Grexit sui greci – Krugman ha fatto sapere ai suoi fedeli di aver scritto la column mentre era in vacanza in bici in una località segreta – è pari all’irresponsabilità con cui Tsipras gioca con la vita dei suoi cittadini. Uscire dall’euro, in un paese che non può permettersi l’autarchia dello yogurt e dell’olio d’oliva, significherebbe penuria di benzina e una spirale di inflazione in stile Argentina. I controlli sui capitali rimarranno a lungo e i depositi verrebbero prosciugati dalla svalutazione della nuova dracma. Dopo il default con il Fmi e la Bce, Atene sarebbe comunque costretta a un’austerità infinita: per pagare stipendi, pensioni e fornitori, il governo greco dovrebbe mantenere avanzi primari fino a quando non recupererà accesso ai mercati. Quanto al ritorno alla competitività, l’apparato pubblico inefficiente, clientelare e corrotto della Grecia non sembra il terreno più fertile per far prosperare imprese.

 

[**Video_box_2**]Erano queste falle che i creditori cercavano di riparare. Fino all’arrivo di Tsipras, i numeri avevano iniziato a dar loro ragione. Il 2014 era stato l’anno del ritorno alla crescita, della disoccupazione in lenta discesa, della prima emissione di debito di lungo periodo sui mercati. Il programma di assistenza finanziaria, che è scaduto alla mezzanotte del 30 giugno, avrebbe permesso di rimborsare Fmi e Bce. Di fronte al fallimento della teoria del fallimento dell’austerità in Grecia, gli ecolumnisti si erano assopiti per concentrarsi sui presunti danni dell’austerità altrove. Tsipras li ha risvegliati, ma nel frattempo ha fatto fallire la Grecia.

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