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J'accuse di Renzi all'Europa, un documento segreto

Marco Valerio Lo Prete
Bilancio unico dell'Eurozona, fondo comune contro la disoccupazione e irreversibilità della moneta unica. Un documento riservato di Palazzo Chigi per non farsi schiacciare tra Merkel e Tsipras, e per rispondere alla tirata d'orecchie di Draghi ai politici europei.

La crisi greca oramai prossima al redde rationem. Il rapido avvicinarsi del referendum inglese sull’adesione all’Unione europea dopo la vittoria elettorale dei conservatori di David Cameron. Infine la crescita che è tornata, sì, ma soprattutto in Italia è decisamente anemica. Sono principalmente questi fattori a spingere in queste ore alcune cancellerie europee nel tentativo di un rilancio in grande stile – l’ennesimo, ma forse l’ultimo possibile – dell’Unione economica e monetaria. Il governo Renzi, con un documento che il Foglio ha letto e che in queste ore è stato inviato alle massime autorità brussellesi e alla Banca centrale europea, ha iniziato a dire la sua.

 

Sabato mattina Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea (Bce), aveva aperto le danze, parlando a Sintra, in Portogallo, a un forum di banchieri centrali. E poi inviando una lettera a un prestigioso seminario di giuristi di tutto il continente riuniti a Roma, all’Università Luiss, alla presenza dei massimi esponenti della Corte di giustizia europea. Un messaggio in cui Draghi guardava oltre la contingenza, fornendo un giudizio tranchant: “Nel lungo periodo l’Unione economica e monetaria potrà funzionare veramente soltanto se sapremo ovviare alle lacune istituzionali e regolamentari ancora presenti”. Vivacchiare, dunque, è necessario ma non sufficiente. Perciò è anche “opportuno domandarsi se sia stato sempre fatto abbastanza nell’area dell’euro per salvaguardare la capacità di utilizzare la politica di bilancio in senso anticiclico”. Risposta del presidente della Bce: “Credo di no”. Perciò la riapertura a una necessaria “ulteriore condivisione di sovranità”.

 

Da Palazzo Chigi, in queste ore, è partita una prima risposta per alimentare l’interlocuzione con Draghi e i vertici dell’Ue. Al documento, intitolato “Completing and strengthening the Emu”, cioè “Completare e rafforzare l’Unione economica e monetaria” (qui il testo integrale del documento), hanno lavorato negli ultimi giorni soprattutto i consiglieri di Renzi, Armando Varricchio e Marco Piantini, ma tra le righe si notano sostanziosi contributi pure del ministero dell’Economia e delle Finanze di Pier Carlo Padoan. “La profondità della crisi economica e finanziaria, così come il suo impatto duraturo, sottolineano l’esistenza di nodi importanti ma irrisolti, relativi all’incompletezza dell’Unione economica e monetaria”. I toni usati per descrivere l’attuale congiuntura economica non sono allarmistici, ma comunque meno entusiastici di quelli usati nel dibattito italiano dallo stesso governo: si parla di “tassi di crescita ancora molto bassi”, di “impatto della crisi sul potenziale di crescita”, di “deterioramento del capitale umano” e di “rischio di stagnazione secolare”. Perciò l’Unione europea ora deve scegliere se continuare a “muddle through”, cioè cavarsela barcamenandosi, oppure “affrontare con determinazione le nuove sfide”. Il governo italiano propone la seconda strada. E l’occasione per formulare le sue proposte è il dibattito che in questi giorni si aprirà nei vertici Ue su un nuovo rapporto in arrivo che dovrebbe idealmente completare quello dei Quattro presidenti del 2012 (stilato dall’allora presidente del consiglio europeo Herman Van Rompuy, dall’allora presidente della Commissione Josè Manuel Barroso, dall’allora presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker e da Draghi).

 

Cosa propone l’Italia nello specifico? “Cambiare la nostra governance vuol dire renderla più efficacia, democratica e giusta”. Per farlo, ogni scelta, a Trattati invariati o meno, dovrà seguire quattro princìpi: “Irreversibilità” della moneta unica, con tanti saluti agli eccessi propagandistici di alcuni esponenti del governo greco; “resistenza”; “performance”, ricordando “che gli Stati Uniti rispondono più rapidamente e meglio alle crisi”, come ammesso già in alcuni documenti ufficiali europei; “solidarietà”.


Cinque, invece, i punti su cui, nel breve termine, il governo Renzi tenterà di portare a casa dei risultati. Sul fronte della governance economica, ogni aggiustamento deve essere “cooperativo”, mentre finora “il fatto di concentrarsi sulle svalutazioni interne nei paesi ‘vulnerabili’ ha generato una riallocazione della domanda all’interno dell’Unione monetaria senza spinta aggregata a beneficio di tutta l’area”. Una riflessione che non potrà piacere in alcuni circoli tedeschi, cui Roma oppone la richiesta di un “approccio sistematico” e l’idea che le pagelle della Commissione che oggi valgono per i singoli paesi siano replicate a livello comune, per valutare e scadenzare le riforme che servono a tutta l’Unione economica e monetaria in un dato periodo o anno. Per rafforzare e modernizzare “il modello sociale europeo”, la proposta forte del governo italiano è quella, cara a Padoan, di un fondo comune per la disoccupazione. Scomparso praticamente ogni riferimento agli Eurobond, secondo Renzi sarebbe questa la strada per aumentare il “risk-sharing” tra paesi, puntellando dal basso le riforme, attutendone l’impatto sociale (senza dimenticare che ciò “aumenterebbe mobilità e integrazione” nel mercato del lavoro europeo). Infine ci sono capitoli dedicati a un completamento dell’Unione bancaria – anche con una garanzia unica sui depositi degli istituti di credito, già prevista ma finora rallentata ancora una volta da Berlino – e a una maggiore integrazione del mercato unico come leva per lo sviluppo. Quinto e ultimo punto: accelerare il Piano Juncker di investimenti, con un nuovo ruolo per la Banca europea per gli investimenti (Bei); e soprattutto un bilancio proprio dell’Unione con cui predisporre politiche anti cicliche.

 

Il governo Renzi, infine, lancia un assist a Draghi e soprattutto a quanti, nel governo di Berlino, si sono sempre detti pronti ad “approfondire” il livello d’integrazione tra i paesi che lo vorranno, anche a costo di cambiare i Trattati. Palazzo Chigi fa affiorare il suo “sì” all’idea di una “cooperazione rafforzata”, cioè un meccanismo istituzionale per cui alcuni paesi, se lo vogliono, possono correre avanti agli altri sul terreno dell’integrazione, lasciando poi che gli altri paesi li raggiungeranno in seguito. L’Italia, evidentemente, vuole essere nel gruppo di testa, quello in cui verosimilmente sarà la Germania. Se barcamenarsi oggi non basta, addio “fronte del Mediterraneo”: con questo documento Renzi fa capire, ancora una volta, di preferire Merkel a Tsipras.

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