L'Italia del non sviluppo tecnologico

Luciano Capone
Il World Economic Forum ha appeno pubblicato il Global Information Technology Report 2015. Il nostro paese migliora, ma è ancora l'ultimo tra i G8. Peggio di noi in Europa solo Slovacchia e Grecia.

Il World Economic Forum ha appeno pubblicato il Global Information Technology Report 2015, un rapporto annuale che cerca di misurare e confrontare il grado con cui i vari paesi del mondo riescono a sfruttare positivamente le ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) per lo sviluppo economico e sociale. In pratica si tratta di una classifica globale dello sviluppo tecnologico, che vede ampliarsi il divario tra le economie tecnologicamente avanzate, che progrediscono sempre di più, e quelle più arretrate, che fanno progressi più lenti e devono affrontare la mancanza di infrastrutture, istituzioni e conoscenze necessarie ad agganciarsi al treno della rivoluzione tecnologica e dei suoi benefici. Al vertice della classifica la Finlandia viene scalzata da Singapore, la città stato forgiata dall’appena scomparso Lee Kuan Yew, mentre in fondo ci sono i paesi dell’Africa subsahariana. L’Italia sale tre scalini rispetto allo scorso anno e si posiziona più o meno a metà classifica (55° posto su 148), ma non è un risultato invidiabile: siamo tra i peggio posizionati dei paesi ad alto reddito e il terz’ultimo dei membri Ocse (peggio di noi solo Slovacchia al 59° e Grecia al 66°). La posizione dell’Italia è un po’ un’anomalia in quanto a un alto indice di sviluppo tecnologico corrisponde un elevato reddito: nelle prime 50 posizioni in classifica solo sei paesi hanno un livello di reddito pro-capite medio, mentre l’Italia è uno dei pochi paesi ad alto reddito (e l’unico del G8) a non essere nei top50. Visto che i due indici - reddito e sviluppo tecnologico - sono strettamente legati, vuol dire che nel breve-medio termine o l’Italia diventa un paese tecnologicamente avanziato oppure un paese economicamente arretrato (o meno avanzato).

 

 

 

Tra i vari ambiti presi in considerazione il punto più critico per il nostro paese è il contesto politico e normativo (102° posto), l’apparato pubblico: legislazione, burocrazia, tutela dei diritti di proprietà e funzionamento della giustizia. Il risultato peggiore riguarda proprio l’efficienza del sistema giudiziario nella risoluzione delle controversie, in cui siamo posizionati al 142° posto, penultimi, un gradino sopra un paese quasi-fallito come il Venezuela. Altra nota dolente è l’inadeguatezza di un mercato del credito bancocentrico, che mostra l’assenza quasi totale di venture capital (127° posto). Le imprese, oltre a non avere accesso a capitali di rischio per fare investimenti, subiscono un livello di tassazione tra i più alti al mondo (131° posto) e operano comunque in un’ambiente dove gli investimenti pubblici nelle tecnologie più avanzate arrivano col contagocce (129° posto). Il World Economic Forum dice inoltre che l’agenzia italiana per l’Agenda digitale nata nel 2012 non è riuscita a raggiungere gli obiettivi che si era prefissata e che il paese è indietro per quanto riguarda lo sviluppo della banda larga: “La nuova strategia del governo, approvata a marzo 2015, - dice il report, cercando qualche segno di speranza – mira a colmare questo gap attraverso 6miliardi di euro di investimenti pubblici e una altrettanti di fondi privati”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali