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La guerra culturale dell'Europa a concorrenza e innovazione

David Carretta
Accuse a Google e sentenze anti Uber. Tutti a Bruxelles parlano di mercato unico digitale come fondamento della crescita futura, il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ne ha fatto una priorità, ma piccole e grandi decisioni mostrano una deriva protezionistica e anti innovazione.

Bruxelles. Più che una “comunicazione di addebiti”, quella che la Commissione europea si appresta a inviare a Google è una dichiarazione di guerra culturale. Dopo quasi cinque anni di indagini preliminari, nelle prossime settimane la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, dovrebbe formalizzare le accuse di abuso di posizione dominante nel settore dei motori di ricerca. Secondo il Wall Street Journal, il fatto che l’esecutivo comunitario abbia chiesto alle compagnie che hanno fatto ricorso contro Google di pubblicare informazioni confidenziali conferma l’intenzione di perseguire Mountain View. Una multa miliardaria non arriverà subito. La “comunicazione di addebiti” ufficializza dal punto di vista legale i capi d’imputazione, e alla fine non è escluso che si arrivi all’accordo amichevole che il predecessore di Vestager, Joaquin Almunia, avrebbe voluto, salvo cedere alle pressioni delle lobby anti Google. Ma la minaccia di una sanzione da sei miliardi rappresenterebbe una vittoria forse decisiva per l’Unione europea 1.0.

 

Tutti a Bruxelles parlano di mercato unico digitale come fondamento della crescita futura: pur dichiarandosi “analfabeta digitale”, il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ne ha fatto una priorità. Ma piccole e grandi decisioni mostrano una deriva protezionistica e anti innovazione. Non c’è solo la guerra a Google, alimentata da potenti editori tedeschi come Axel Springer (era stata la Germania lo scorso anno a far desistere Almunia da un accordo amichevole) o dalle frustrazioni anti americane dei francesi (Jacques Chirac nel 2004 lanciò il fallimentare motore di ricerca Quero con aiuti di stato autorizzati dalla Commissione). Con l’obiettivo inconfessato di proteggere vecchi settori in crisi, l’Ue 1.0 ostacola chi investe miliardi in innovazione a beneficio di consumatori e azionisti. Accade a Uber, con la decisione della Commissione di affidare alla direzione generale Trasporti – invece del Mercato interno – il ricorso contro il divieto di operare in Francia. Rischia di accadere a Netflix, con il commissario all’Economia digitale, Günther Oettinger, che vuole preservare le barriere nazionali sui contenuti online. Potrebbe accadere di nuovo a Google, con l’Europarlamento che chiede uno smembramento.

 

Nazionalismo economico, cultura anti mercato e invidia della Silicon Valley sono i pilastri dell’Ue 1.0. “Dobbiamo proteggere la nostra diversità culturale”, ha detto Oettinger a proposito dei blocchi geografici ai contenuti digitali, ma così si favorisce l’illegalità in un mondo online senza confini fisici, e si sottraggono profitti a chi opera secondo le regole. Allo stesso modo, trattando Uber come una compagnia di taxi invece che come un fornitore di servizi tecnologici, la Commissione lascia ai governi  la libertà di assecondare una categoria politicamente rumorosa come i tassisti. Così pregiudica un settore dell’economia del futuro – la sharing economy – che è il presente di milioni di cittadini. Un tempo la Commissione era il campione delle liberalizzazioni e dei consumatori, pronta a battersi contro le capitali per cavalcare l’innovazione e imporre la concorrenza. Oggi dimostra di essere il software vecchio che accompagna il declino dell’Europa.

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