Arturo Maresca

Auspicabili rivoluzioni e possibili involuzioni del Jobs Act. Ma per l'avvocato Maresca "non ci sarà macelleria sociale"

Francesco Pacifico
Parla l'ordinario di Diritto del lavoro alla Sapienza, l'uomo che provò a ricucire tra Fiat e Confindustria sul contrattatto metalmeccanico.

“Che cosa è meglio per i lavoratori? Essere sottoposti a continui ed estenuanti rinnovi di contratti a termine o di lavori in somministrazione oppure mantenere l’articolo 18?”. Susanna Camusso e circa due terzi dell’arco costituzionale italiano (compresi quelli che hanno votato il Jobs Act) sceglierebbero la seconda ipotesi. Da avvocato, pragmatico per deformazione professionale, Arturo Maresca guarda alle esigenze delle imprese (che spesso non hanno assunto per le rigidità del nostro sistema) e alle lungaggini processuali, a carico di chi si è dovuto rivolgere a un giudice. “Ci siamo detti che la flessibilità serviva per portare tutele dove non c’erano. Il che, in parte, è avvenuto. Ma è altrettanto vero che le imprese hanno interpretato il pacchetto Treu o la Biagi soprattutto come uno strumento per risparmiare. Adesso il governo prova a ribaltare quest’assunto, rendendo il contratto a tutele crescenti a tempo indeterminato più conveniente delle partite Iva o del tempo determinato".


Gli avvocati non amano il Jobs Act. Le nuove norme, si sa, finiranno per incidere sulle loro parcelle. “Certamente – ammette Maresca – ci sarà meno contenzioso, che di solito è meglio remunerato, e più lavoro di consulenza”. Ma il nostro – ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma e in passato advisor di Confindustria nella diatriba con la Fiat sul contratto metalmeccanico - non ama la retorica sui numeri, sugli effetti miracolosi della nuova legge. “Le norme, prese da sole, non creano mai lavoro. Se lo facessero, con l’ipertrofia normativa che ci contraddistingue, in Italia avremo la piena occupazione. Caso mai hanno la forza di indirizzare le imprese verso un tipo o un altro di contratto. Finora la legislazione ha favorito l’applicazione delle forme di lavoro temporaneo, del part-time o delle partiva Iva. Non è un caso se oggi soltanto il 15 per cento dei contratti è a tempo indeterminato”.

 

Per Maresca, di miracoloso, c’è allora un nuovo modo di guardare al lavoro e a concetti come sicurezza, stabilità e flessibilità. “Si entra in una logica completamente diversa: non c’è più l’articolo 18 che tutelava – era questa la dizione dello Statuto – ‘il posto di lavoro precedentemente occupato’. Infatti, in caso di licenziamento, il datore doveva restituire il lavoro al dipendente. Adesso invece abbiano sulle tutele due fronti: l’indennizzo previsto dalle tutele crescenti e, cosa più importante, il contratto di ricollocamento con il quale il legislatore prova a favorire l’outplacement. È un modo per sostenere la ricerca di un nuovo lavoro, che magari funzionerebbe meglio se Poletti avesse inserito nelle deleghe la creazione della nuova agenzia. Ma in Italia non si può avere tutto”. Per ora Maresca si accontenta, ma secondo lui “il Jobs Act avrà successo soltanto se pareggerà o invertirà la percentuale sul numero di tempi indeterminati. Il contratto a tutele crescenti è molto attrattivo. Intanto costa tra il 28 e il 31 per cento in meno di una partita Iva. Non si pagano per tre anni i contributi e c’è totale deducibilità dell’Irap. Poi si introducono all’interno del contratto nazionale forme di flessibilità interne inimmaginabili, come il mutamento di mansione. Terzo punto, c’è certezza giuridica ed economica nella gestione dei licenziamenti”.

 

[**Video_box_2**]Su questo versante è difficile fare scommesse. Nel 2012, dopo la riforma all’articolo 18 voluto da Elsa Fornero, Magistratura democratica promise che fatto mura contro la deregulation. "Dobbiamo ancora capire come i giudici applicheranno le nuove norme”, dice Maresca, “Per quanto mi riguarda io non mi aspetto gente sbattuta in mezzo a una strada. Ci saranno degli abusi, come sempre avviene, ma macelleria sociale non l’hanno fatta neppure le imprese sotto i quindici dipendenti. Perché? Perché piuttosto a noi legali le aziende facevano sempre la stessa domanda: come facciamo a tenere di più i lavoratori in azienda senza dover sottostare alle regole sul licenziamento? Negli ultimi tempi assumevano con il più costoso contratto a tempo determinato riformato da Poletti. Adesso hanno a disposizione il più conveniente contratto a tutele crescenti”.

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