Giovanni Tria (foto LaPresse)

Il Fmi contro il Def gialloverde e le ultime sull'agguato di Milano

Giuseppe De Filippi

Idee e spunti per sapere quello che succede nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi

Ancora sul sorprendente Def presentato dal caparbio Tria, un documento che da sé costituisce uno dei migliori atti di accusa alla politica economica del governo pur essendo stato approvato dal... Consiglio dei ministri. In questa chiave qualche considerazione aggiuntiva e qualche spunto analitico in più da Marco Leonardi sul Mulino.

 

 

Ed è Tria, suo malgrado (ma alla fine anche questo ruolo di bersaglio lo rafforza) ad essere chiamato in causa direttamente dal Fondo Monetario per evitare i fattori di rischio maggiori per l'economia italiana e di conseguenza i possibili contagi verso le altre economia europee e i mercati finanziari. Per il Fondo sono sbagliate le riforme tributarie proposte in Italia (quell'accrocco che va sotto il nome di tassa piatta) e ci sono pochissimi spazi di manovra tra entrate e uscite.

 

Ma come sarebbe? Tutti i soldi, da dare subito, senza verifiche, senza filtri, senza niente. E poi gli attacchi personali al ministro che ci-de-ve-spie-ga-re perché non ha già firmato le carte e distribuito i soldi. E Paragone che faceva allusioni a cose familiari del ministro che fine ha fatto? Perché non parla più dei soldi per azionisti e obbligazionisti delle banche finite male? Che è successo? Ah intanto, come segnala l'opposizione, i soldi sono la metà.

 

Però il prof. avv., costretto a esporsi, continua a ripetere che i soldi arriveranno e che è tutto nel famoso decreto crescita, anche se ora definisce i rimborsi se non automatici comunque rapidi. Allora, l'automatismo, per tornare a ciò che si diceva prima, era considerato uno dei punti irrinunciabili della strategia a 5 stelle sui rimborsi.

 

Questa la mettiamo in quota sblocca-cantieri e sempre a corredo del neo entusiasmo per i 5 stelle da parte di Confindustria, conquistata dal Di Maio "uno di noi".

 

 

La Ferrari, intesa come casa automobilistica, fa un sacco di soldi. Complimenti a chi la gestisce per saper reggere alla sfida competitiva mondiale (nelle super car sportive si gioca solo un campionato, quello mondiale, anche sui mercati) e per saper addirittura accrescere il valore di un marchio straordinario.

 

 

La Francia dice di non aver niente a che fare con l'offensiva di Haftar in Libia e la questione si va a impantanare nei rispettivi posizionamenti diplomatici. Mentre l'Italia non sa comunque che fare.

  

Assange è mio e me lo processo io.

 

 

Così tanto per sapere anche questo e magari parlarne a cena.

 

 

Ogni venerdì assomiglia tremendamente al venerdì precedente, fare presto, fare subito e vedersi venerdì prossimo. Il "procurato allarme" di cui parlava giorni fa Giuliano Ferrara e l'approccio impolitico, irrazionale, violento, a decisioni pubbliche che dovrebbero essere assunte secondo le regole degli stati e della collaborazione tra stati e non sotto il peso di slogan intimativi.

 

 

Il fattaccio a Milano.

 

 

Ecco, quindi ora c'è la proroga, intanto i britannici voteranno per il Parlamento europeo, manderanno avanti il commercio as usual, grazie alla fantastica area di libero scambio cui appartengono e chi si chiama Unione europea e allo stesso modo andrà avanti la libera circolazione delle persone e la libera fornitura di servizi. Poi ne chiederanno un'altra, di proroga. Nel frattempo potrebbero, come si vede, pensare a un nuovo referendum e chiudere una volta per tutte l'avventura del petulante Farage e dei boriosi ma cacasotto Johnson e altri conservativo pro-Brexit, e del callido Corbyn e della coriacea ma vuora May e dell'avventato Cameron.

 

 

Mentre Bolsonaro vuole riscrivere la storia brasiliana eliminando colpi di stato e dittatura.