Aman New Dehli, India (via YouTube)

L'occidente ha fallito quando ha iniziato a progettare cessi troppo piccoli

Costantino della Gherardesca

L’eredità di Kerry Hill, architetto e genio

In questi tempi di grande sconforto, a chi può votarsi un povero progressista elitario come me? Di santi protettori in terra ne ho sempre meno, quindi non mi resta che appellarmi al cielo, nella speranza che lassù qualcuno abbia il buongusto di rispondermi.

 

Ma a chi posso rivolgere le mie preghiere, se il paradiso – per come ce lo descrivono i suoi più ferventi ammiratori – non è altro che una balera della spiritualità, piena di anime rincoglionite che barcollano tra nuvolette sputate da una fog machine alimentata a sensi di colpa? Chi mai tra i benedettissimi frequentatori di quel club per bulli devoti potrebbe capire le mie pene di creatura sensibile e delicata?

 

Nessuno. Questa è sempre stata la risposta giusta. O, almeno, lo è stata fino a poco tempo fa. Perché il 26 agosto una notizia molto triste ha cambiato le carte in tavola, regalandomi inaspettatamente un filo di speranza. Quel giorno, infatti, è morto Kerry Hill, un genio che nel corso dei suoi settantacinque anni ha contribuito a ribaltare i paradigmi dell’architettura occidentale e a riscrivere il concetto di lusso orientale. Ora che è stato assunto in cielo, per il resto dell’eternità sarà il destinatario delle mie preghiere.

Del resto, chi meglio di lui può capire il mio amore per la complessità, l’unicità, la diversità? Uno che si è laureato nel 1968, mentre mezzo mondo ripeteva che “la Cina è vicina”, e nel 1971, anziché bersi la favoletta degli asiatici cattivoni, ha lasciato la natia Australia e si è trasferito a Hong Kong, per poi progettare resort e alberghi da sogno a Bali, Jakarta, Singapore (città diventata la sua seconda patria e sede del suo studio), Giappone, Cambogia, Sri Lanka, Bhutan.

    

Uno che nel 2017 ha ultimato un progetto come quello di Amanyangyun, un piccolo borgo secolare nella foresta a sud di Shanghai che rischiava di essere completamente allagato per scelta del governo cinese che, nei primi anni del 2000, aveva deciso di creare una diga nella zona. Grazie ai massicci investimenti di un magnate locale, il borgo è stato letteralmente smontato pezzo per pezzo e parcheggiato in un magazzino fuori Shanghai per poi essere rimontato a poca distanza dal sito originale. Lo stesso destino è toccato agli oltre diecimila alberi di canfora che circondavano il borgo: sono stati sradicati, curati e poi ripiantati insieme alle case. Nel 2009, questo nostalgico magnate ha ben pensato di trasformare questo suo dispendiosissimo pet project in qualcosa di remunerativo, chiedendo proprio a Hill di progettare un resort a partire dalla pianta originale del paese.

  

Prima di tanti altri, Hill ha capito che i nostri orizzonti hanno cominciato a restringersi nello stesso istante in cui abbiamo accolto come un segno di progresso la miniaturizzazione degli spazi domestici: tutto piccolo, compatto e – tanto per usare l’aggettivo più ingannevole della lingua italiana – comodo. Un appartamento è “comodo” perché non serve alzarsi dal divano per aprire la porta di casa.

  

L’idea di comodità, per Hill, aveva tutt’altra definizione. Per lui era profondamente legata allo spazio, alla luce naturale e alle condizioni atmosferiche.

 

“Penso che oggi, il lusso abbia molto più a che fare con gli aspetti spaziali che non con quelli materiali del nostro stile di vita”, ha detto in un’intervista del 2012, “e in futuro sarà ancora più evidente. Il lusso non richiede rubinetti d’oro e pavimenti di marmo. In un mondo sempre più caotico e densamente popolato, il lusso è nello spazio, nella confortevolezza di un ambiente.”

 

In base a questo criterio, il valore di un immobile è determinato – per esempio – da quanta natura incontaminata gli si estende intorno, non dalla prossimità degli uffici postali o degli asili nido; da quanto quella casa riesce a immergersi nell’ambiente che la circonda, non dalla capacità di essere osservabile a occhio nudo dalla Luna.

 

E l’idea di “immersione” nell’ambiente circostante Hill la prendeva tremendamente sul serio. Anche quando si trattava di progettare un hotel di prima categoria, Hill non cedeva mai alle tentazioni del lusso massificato, responsabili di aver gettato benzina sul fuoco nonluoghista di Marc Augé: casermoni disegnati e arredati alla stessa maniera, e chi se ne frega se sei nella periferia di Isernia o nel centro di Osaka, le sedie e i finti quadri alle pareti sono sempre uguali.

 

In ogni suo progetto, Hill pescava nell’iconografia e nella cultura locali per restituire anche al più distratto dei turisti un vero assaggio del paese in cui era sbarcato. Una coerenza intellettuale (forse appresa dal suo amico e mentore Geoffrey Bawa, leggendario architetto dello Sri Lanka e teorico del tropical modernism) che lo spinse a utilizzare tecniche e materiali di costruzione tipici del luogo in cui era chiamato a progettare, anche a costo di ricorrere a trovate apparentemente folli. Come quando, tra il 2004 e il 2007, utilizzò fibre d’ortica, peli di yak, rocce e fango per realizzare le cinque lodges del resort Amankora in Buthan.

 

A dispetto degli strani “ingredienti” coinvolti, le strutture rispettano in pieno i più avanzati standard antisismici.

 

Caro Kerry, ora che non sei più fra noi, dovrai aiutarmi e guidarmi da lassù.

 

Santissimo e benedettissimo Kerry, proteggimi da ossimori come le “essenziali-passamanerie”, da contraddizioni in termini come le “delicatissime-tende-con-le-balze”, da incubi epidemici come le “moquette-antibatteriche”, e – soprattutto – salvaci da quel cancro della civiltà occidentale che va sotto il nome di “bagno-piccolo-ma-funzionale”.

  

 

   

 

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