Mauro Corona (foto LaPresse)

Per capire tutto dell'Italia mi sono bastate le mutande di Mauro Corona

Costantino della Gherardesca

All'estero l’eredità di pensatori avveniristici come Asimov è ancora viva. Nel nostro paese, invece, a riscuotere consensi è il re della costante crociata contro la modernità

Nel 1964, nella contea di Queens, si tenne la New York World’s Fair, un’occasione per mostrare alla gente gli ultimi ritrovati tecnologici e le loro applicazioni nei campi più svariati: dall’industria pesante all’economia domestica. Nei padiglioni dell’esposizione si mettevano in scena con grande enfasi gli scenari che il domani ci avrebbe riservato, proponendo ai visitatori un assaggio delle invenzioni che avrebbero rivoluzionato il loro immediato futuro.

 

All’epoca, con grande ingenuità, si parlava soprattutto di macchine volanti e città sottomarine. L’idea di futuro degli americani degli anni Sessanta, infatti, era ferma alle fantasticherie che si potevano trovare in En l’an 2000, una serie di cartoline realizzate nel 1899 dall’artista francese Jean Marc Côté. In queste antiche incisioni, così come nei padiglioni dell’Expo di Queens, si guardava all’allora lontano 2000 come a un’èra di sviluppo scientifico incredibile e di benessere generalizzato. Nella loro fervida immaginazione, i nostri antenati credevano che la nostra epoca sarebbe stata baciata da un progresso tecnologico così strabiliante da avere come inevitabile conseguenza un progresso sociale altrettanto stupefacente.

 

Oggi queste idee possono farci sorridere per la loro naïveté, ma allora dovevano essere percepite con molto meno disincanto se un uomo di scienza come Isaac Asimov (allora già affermato scrittore), ispirato proprio dalla New York World’s Fair del 1964, decise di scrivere un breve saggio in cui ipotizzava quali sarebbero stati – cinquant’anni dopo – i pezzi forti dell’Esposizione universale del 2014.

 

Anche nella mente di questo biochimico reinventatosi scrittore di fantascienza, il futuro era fatto delle immancabili automobili svolazzanti e di colonie lunari, ma tra le sue previsioni c’erano anche molti dettagli che fanno effettivamente parte del nostro quotidiano: elettrodomestici cordless, crescita dell’aspettativa di vita, politiche a favore del controllo delle nascite e molto altro.

 

Asimov aveva sopravvalutato gli avanzamenti possibili in mezzo secolo di tecnologia (la completa automazione, purtroppo, è ancora molto lontana), ma la sua voglia di guardare avanti gli ha permesso di individuare con grande lucidità anche delle problematiche molto concrete del nostro tempo: la noia e la sovrappopolazione. Due cose, a mio parere, strettamente collegate tra loro.

 

E se andiamo indietro negli anni, ci accorgiamo che la voglia di guardare avanti non è mai mancata. Spesso il desiderio di tecnologia si è sviluppato a dispetto delle condizioni in cui maturava. Le teorie scientifiche più avveniristiche, infatti, non nascono solo nei laboratori sterili della Silicon Valley, ma anche nella rognosa cameretta di un ragazzino nato nella miserabile Russia zarista. Prendiamo per esempio i seguaci del Cosmismo, una corrente filosofica russa che prese piede a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Queste menti incredibili teorizzarono i viaggi spaziali con equipaggio umano quasi un secolo prima che diventassero una realtà. Konstantin Ciolkovskij, uno dei massimi esponenti di questo movimento, non solo abbozzò i primi prototipi di navicelle, ma fu il primo a partorire l’idea di un ascensore spaziale: una stazione orbitale collegata al nostro pianeta da un cavo fissato sulla crosta terrestre. In pratica, prima ancora che l’umanità riuscisse a lanciare un razzo in orbita, questo adorabile visionario (sordo, autodidatta e nato in una famiglia assai modesta) pensava già a come ridurre drasticamente il costo e il rischio dei voli.

 

L’eredità di questi pensatori così avveniristici è più viva di quanto non si creda. Prendiamo per esempio l’artista e architetto olandese Daan Roosegaarde, classe 1979. Nel 2013 si trovava a Pechino, notoriamente una delle città più inquinate del mondo, e guardando la fitta coltre di smog che incombe sulla città, gli venne un’idea: creare una torre di sette metri che funzionasse come un vero e proprio aspira-inquinamento. Dopo aver creato un primo modello per la città di Rotterdam, Roosgaarde è riuscito a installare nel 2016 una Smog Free Tower proprio in un parco di Pechino (nel 2018 ne ha eretta anche una a Cracovia). Il meccanismo consente di purificare del 75 per cento trentamila metri cubi d’aria ogni ora, consumando un quantitativo minimo di energia.

 

Le polveri di carbonio raccolte dalla Smog Free Tower vengono compresse in cubetti neri che lo Studio Roosegaarde trasforma in piccoli articoli di gioielleria. Per poche centinaia di dollari, potete mettervi al dito un anello che ha, al posto del solito diamante (che sempre carbonio è), un condensato di inquinamento pechinese.

 

Da decenni coltiviamo il mito di una Cina ossessionata dal capitalismo più becero, di un paese che vorrebbe convertire il mondo in un infinito alveare di centri commerciali. E invece la più recente declinazione dello Smog Free Project è nata proprio in collaborazione con un cliente cinese, Ofo, una delle più grandi aziende di bike sharing. Si tratta di Smog Free Bicycle, un programma che mira a diffondere delle biciclette fornite di un sistema di filtraggio dell’aria posizionato nel manubrio. Se si considera la quantità di gente che si sposta in bici nelle città cinesi, è facile fare una stima dell’impatto che potrebbe avere una simile iniziativa.

 

Che cosa succede, invece, in Italia? Da noi purtroppo lo scenario non è altrettanto confortante. Dalle nostre parti chiunque si azzardi a ribadire il ruolo centrale e insostituibile dello sviluppo tecnologico deve scontrarsi contro un muro di diffidenza. La nostra cultura è ancora ostaggio di pensatori banali, scrittori pseudoambientalisti che rovesciano i loro pensierini sulla natura in libracci per borghesotti che si illudono di essere tutt’uno con l’universo perché ogni domenica fanno la grigliata in giardino.

 

Prendiamo per esempio il re di questa costante crociata contro la modernità, il Líder Máximo del si-stava-meglio-quando-si-stava-prima: Mauro Corona.

 

Mentre nel resto del mondo c’è chi sta riempiendo lavagne e computer di calcoli che un giorno ci permetteranno di vivere in stazioni orbitanti in cui coltivare e mangiare manghi e spinaci fottendocene della stagionalità, il pordenonese Mauro Corona ci ricorda che lui si lava solo una volta ogni due mesi. “Quando proprio esagero”, confessava nel 2016 ai microfoni della Zanzara, “una doccia al mese”. Per tranquillizzare il suo ampio pubblico di focose lettrici, Corona rassicura che – nonostante il suo discutibile regime igienico – lui tiene sempre pulito “quel pezzettino lì, perché non si sa mai”. E a quanto pare, come lui stesso ammette, questo stile di vita così ambientalista non deriva da una vocazione al risparmio, ma nasconde una motivazione più vezzosa: la volontà di proteggere il ph naturale della sua pelle.

 

La rigida filosofia coroniana non risparmia nemmeno i vestiti. Questo acerrimo avversario del sapone, infatti, considera un’esagerazione cambiarsi le mutande ogni giorno: “Le tengo una settimana, a volta qualche giorno in più. Poi le cambio, a una certa età ci sono delle gocce che scappano”. Ma per distrarci dallo spettacolo della sua incontinenza senile, Corona ci tiene a vantare una sua dote superumana: la sua incapacità di sudare, ragione per cui non ha bisogno di cambiarsi i calzini come noi poveri mortali: “Non sudo, non c’è odore, li tengo anche venti giorni”. E, forte delle sue virtuosissime ghiandole sudoripare, Corona invita il popolo dei suoi adepti a sottoporlo a un test incontrovertibile: “Se volete facciamo una prova in pubblico, con la gente che mi annusa. Io non sudo”.

 

Potete immaginare la mia gioia quando ho scoperto che quest’uomo – uno scrittore che ha fatto dell’ascella pezzata una forma d’arte – è allo stesso tempo amico di Salvini e sostenitore del MoVimento 5 Stelle: il jackpot della banalità passatista.

 

Nel futuro distopico sognato da Corona non solo non c’è spazio per gli Ogm, per la Tav e la piena automazione. Nel suo mondo non c’è spazio nemmeno per uno shampoo e balsamo. Le docce e i calzini puliti sono banditi dal suo mondo ideale. Mentre i cinesi cattivoni sognano un’utopia ipertecnologica comunista che ristabilisca l’equilibrio ambientale e garantisca a tutti una vita dignitosa, noi italiani brava gente abbiamo deciso di affidare la nostra bussola morale a un pordenonese che si cambia le mutande una volta a settimana.

 

Per favore, ridatemi Asimov e le sue macchine volanti.

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