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Le domande che non dicono cosa pensano gli italiani, ma quanto sono spaesati

Maurizio Crippa

Diamanti, il rapporto Demos e le fotografie che sembrano Dibba

Milano. Un sondaggio. Cos’è un sondaggio? O meglio, poiché siamo un gradino sopra alla estemporaneità dei sondaggi: cos’è una ricerca demoscopico-sociologica, fatta con i crismi e la scienza, come il rapporto “Gli Italiani e lo stato” curato da Demos per Repubblica, giunto alla ventesima edizione e commentato ieri con acribia da Ilvo Diamanti? “Il paese che si avvia alle prossime elezioni si presenta, come in passato, scettico. Nei confronti delle istituzioni e della politica. Ma non rassegnato”. Non è proprio che non lo sapevamo, ma certificato dalla ricerca e dall’analisi, fa più effetto. Un rapporto di questo genere dovrebbe essere un fedele ritratto di quel che pensa il campione indagato – gli italiani, tutti noi. E ovviamente lo è, sarebbe da fessi negarlo. Ma in realtà – pur senza inventarsi una dottrina trascendentale della demoscopia per cui non siamo attrezzati – l’impressione è che spesso la ricerca invece di essere un algoritmo interpretativo, è una fotografia: non tanto di “quel che pensa la gente”, ma semplicemente di quel che la gente è. Del suo grado di posizionamento – o di spaesamento – nella società e rispetto alle domande che vengono rivolte.

       

Così più che leggere, vien fatto di immaginare l’ambiente attorno alle parole. Scrive Diamanti: “Gli italiani: appaiono diffidenti. Verso gli altri e, in fondo, anche verso se stessi. Ma non rinunciano a credere nella possibilità di cambiare. Nel futuro. Anche se mostrano delusione nei confronti del passato. O, forse, proprio per questo. Perché sperano che il domani sarà migliore”. Non sì starà qui a discutere sulle metodiche, non è questo il tema. Ma al tipo di domande che viene posto, gli italiani sono all’altezza di rispondere? Ad esempio, la fiducia nello “stato”. E’ al 20 per cento, dieci punti meno di dieci anni fa. Ma anche l’Unione europea fa meno 18. Quanta consapevolezza c’è dietro la parola “stato”, o quanto di come sia aumentata, e anche nel bene – pensiamo all’euro – l’influenza dell’Europa nelle nostre vite? Resistono in cima alle istituzioni che danno fiducia il Papa e le Forze dell’ordine.

  

Il che fa molto Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia, il mitico film di Lino Banfi. Ma quale conoscenza hanno delle istituzioni gli italiani che forse non si accorgono quanto l’Ue conti più del Papa? Il presidente della Repubblica (che non ha ruoli particolarmente attivi nella vita quotidiana percepita) è messo meglio, per l’algoritmo Demos, dello stato: 46 a 19. Peccato che, a differenza di Mattarella, lo “stato” un ruolo attivo ce l’abbia. C’è più fiducia negli imprenditori che nei sindacati – nel paese che però si lamenta della povertà e della perdita di lavoro. C’è più fiducia nelle banche che non nel Parlamento – nel paese in cui però si chiede al Parlamento un haircut ai banchieri. Poi ovviamente i partiti. Per un italiano su due non servono alla democrazia, potrebbe funzionare benissimo senza. Anche perché i partiti sono più corrotti che ai tempi di Tangentopoli. Ma saranno tutti cugini di Dibba, gli intervistati? Evidentemente no. E’ soltanto che, appunto, alla domanda l’italiano da campionatura risponde come lo spettatore da talk, come lo smanettone di Facebook, come l’elettore da sbirciatina ai giornali prima di entrare nella cabina. Che ne sa? E perché dovrebbe saperne qualcosa?

     

Per contro, piace moltissimo l’Uomo forte al comando: al 36 per cento (per i potenziali elettori di Forza Italia all’82 per cento, ma anche in quelli del Pd siamo a quota 56). La domanda è: “In questo momento il paese ha bisogno di essere guidato da un Uomo forte?”. Due su tre dicono sì, e questo ovviamente “preoccupa” Diamanti? Perché, poi? Mica hanno chiesto: “Ti piace Hitler?”. Il punto è un altro. Avessero chiesto: lei lo vorrebbe un dittatore? Oppure: pensa che un presidente come in America sarebbe la soluzione? Le piace il cancellierato alla tedesca? La risposta sarebbe stata magari uguale, e molti avrebbero detto “boh”, ma più attendibile. “Uomo forte” è banale: chi vorrebbe l’uomo debole? Così come, alla scelta tra regime democratico o autoritario: per il 38 per cento “in alcune circostanze è preferibile / o comunque non fa differenza”. E’ come a scuola: a domanda si risponde. E viene fuori una fotografia. Il ritratto degli italiani che non sanno bene dove sono collocate le istituzioni, né i partiti, né loro stessi. Ma forse l’algoritmo ha spiegato perché Di Maio sta al 28 per cento.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"