Manifestazione del gruppo "Occupy Wall Street" (foto LaPresse)

La diseguaglianza aumenta nei media e diminuisce nella realtà

Luciano Capone

Sorpresa: gli ultimi due decenni di globalizzazione hanno ridotto le differenze in Europa e nel mondo

Roma. Una delle affermazioni più frequenti, tanto ribadita da essere diventata una pseudo-verità, è che la globalizzazione e la crisi economica – che della liberalizzazione dei mercati sarebbe un prodotto – hanno aumentato le diseguaglianze nel mondo, in Europa e in Italia. Sulla scorta del successo dei libri di Thomas Piketty, con una formula consolidata, si dice che “i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”. Non è vero. La diseguaglianza non è aumentata a livello globale, non a livello europeo e neppure a livello nazionale. Anzi, è successo in gran parte il contrario: si è ridotta o è rimasta costante.

 

 

I dati mostrano che dalla caduta del Muro di Berlino, e in particolare negli ultimi anni, abbiamo assistito a un eccezionale periodo di produzione e redistribuzione della ricchezza su scala globale. Secondo i dati della Banca mondiale, per la prima volta la quota di poveri nel mondo è scesa sotto il 10 per cento, dal 36 per cento del 1990, che vuol dire oltre un miliardo di poveri in meno, e nonostante nel frattempo la popolazione mondiale sia cresciuta enormemente, di quasi 2 miliardi di individui. Il grande arricchimento dei poveri, in particolare in paesi come Cina e India, ha prodotto anche una riduzione della diseguaglianza mondiale, che è scesa continuamente dal 1989 e più velocemente dal 2002 in poi, un declino che neppure la crisi finanziaria globale ha rallentato. E questo processo che ha reso il mondo più ricco e più uguale, a differenza di quanto si afferma con una certa sicurezza, non ha neppure causato un aumento della diseguaglianza in Europa.

  

Il think tank Bruegel, animato tra gli altri dall’ex presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet e dall’economista Lucrezia Reichlin, ha recentemente pubblicato due studi sulla distribuzione dei redditi e sulla crescita inclusiva in Europa realizzati dagli economisti Zsolt Darvas e Guntram Wolff, quest’ultimo direttore del pensatoio brussellese. Le conclusioni di entrambi i lavori sono che “la diseguaglianza nell’Unione europea, contrariamente alle percezioni, è diminuita negli ultimi due decenni”. Nello specifico Darvas sostiene che la diseguaglianza si è ridotta dal 1995 al 2008 e successivamente è rimasta costante. Facendo un paragone con gli altri continenti, l’Europa ha il livello di diseguaglianza più basso e proprio per effetto di una politica di redistribuzione dei redditi più incisiva negli ultimi decenni.

  

Gli economisti  precisano che, se c’è stata una convergenza dei redditi a livello europeo per l’allargamento a est, è anche vero che che la diseguaglianza è aumentata all’interno di alcuni stati e ha contato molto in scelte come il referendum sulla Brexit nel Regno Unito. Questo vuol dire che, mentre diminuisce la diseguaglianza a livello mondiale ed europeo, un effetto collaterale della globalizzazione può essere l’aumento della diseguaglianza in alcuni stati con i conseguenti problemi di instabilità politica e risentimento sociale. Ma è questo il caso dell’Italia? No. Ancora una volta, contrariamente a quanto viene ripetuto, la diseguaglianza non è aumentata. Come scrive la Banca d’Italia nell’ultima Relazione annuale, l’indice di Gini che misura la diseguaglianza dei redditi è rimasto invariato: “La crisi economica non ha determinato un significativo aumento della diseguaglianza: la contrazione del reddito equivalente reale, di circa il 14 per cento dal 2006, ha interessato in misura pressoché omogenea l’intera distribuzione”. Insomma, pensiamo di essere più diseguali, ma siamo semplicemente più poveri. Ciò che invece è cambiato profondamente è la composizione demografica della distribuzione: negli ultimi anni, mentre il livello di diseguaglianza è rimasto costante, gli anziani sono diventati più ricchi e i giovani sempre più poveri. E’ la questione generazionale di cui invece nessuno parla.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali