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amare il popolo
Antonio Cantaro indaga sul più bistrattato tra gli organi costituzionali, il popolo
Quello del professore di Diritto costituzionale è un libro che mette in difficoltà, perché parla a una comune “cattiva coscienza” e ci porta lì dove non vorremmo andare, volendo invece restare al riparo nel quieto tempio del conformismo intellettuale (elitario) e anche di alcuni pregiudizi
Il libro di Antonio Cantaro, professore di Diritto costituzionale, è stato appena pubblicato con il titolo “Amato popolo. Il sacro che manca da Pasolini alla crisi delle democrazie”. Raccoglie appunti, discorsi, scritti di occasione, ma il filo che li lega ne fa un testo pienamente comprensibile, proprio nel senso etimologico. E’ un libro che mette in difficoltà, perché decisamente apre a un altro punto vista, parla a una comune “cattiva coscienza” e ci porta lì dove non vorremmo andare, volendo invece restare al riparo nel quieto tempio del conformismo intellettuale (elitario) e anche di alcuni pregiudizi.
L’esordio è fulminante: “Che male c’è ad amare il popolo? Su coloro che hanno osato porre la scandalosa domanda è da tempo calata l’accusa, considerata infamante dalle caste globaliste che (s)governano il mondo, di populismo. Eppure la sovranità popolare è ciò che rende autentica e vitale la democrazia”. Una “verità evidente…”. L’accusa cadde anche su Pasolini, com’è noto anche da sinistra. Torcendo il senso della sua critica al potere, oscurando la sua “ricerca indomita di una ragione pubblica in cui credere, da trasmettere pedagogicamente”, dimenticando il suo “amore disperato” per le istituzioni che rendono popolo i singoli individui, luoghi misteriosi che li rendono umilmente fratelli. E istituzioni sono per lui certo quelle della Repubblica, ma anche la Chiesa e il Partito. Il fatto è, secondo Cantaro, che senza una vera passione per il popolo, ogni discorso della politica appare ai governati falso e, dunque, irricevibile.
Al popolo, alla sua funzione politica, Cantaro dedica pagine di grandissimo interesse, in una ricostruzione storica e teorica serrata. Si misura qui, sostiene l’autore e la cosa mi riguarda assai da vicino, la domanda che riguarda i tentativi di riforma costituzionale e la contrapposizione tra le ragioni di chi si batte per una democrazia di investitura e per una forma di premierato assoluto e chi sostiene le ragioni di una democrazia di tipo parlamentare, sia pure fortemente razionalizzata. La conclusione di Antonio Cantaro è spiazzante, perché nel recinto della discussione pubblica introduce l’organo costituzionale “popolo” e questo ridetermina la domanda a cui rispondere, e cioè: “Si tratta di discorsi adeguati ed efficaci a colmare l’enorme fossato che si è aperto negli ultimi decenni tra popolo e potere, tra cittadini e istituzioni? Entrambi i discorsi dimenticano, colpevolmente, che la prima e più profonda debolezza delle democrazie contemporanee, e della democrazia italiana in particolare, è la debolezza dell’organo costituzionale ‘popolo’. L’espropriazione di potere consumata a suo danno da ristrette oligarchie, sia quando esse siano elette in regime di democrazia di investitura sia quando siano elette in regime di democrazia rappresentativa. Non a caso il discorso politico oggi dominante nel mondo e in Europa è quello populista nei suoi diversi colori…”.
E al populismo viene dedicato il capitolo titolato “Il populismo preso sul serio”. Un’analisi senza sconti, un’indagine senza schermi dinanzi al demos che reclama le proprie ragioni. “Primitivismo politico e costituzionale?”, si chiede Cantaro, “può darsi, ma dipende anche da noi. Parlare delle ragioni dei populisti, parlare con i populisti, non significa necessariamente parlare come i populisti. È un dovere democratico smettere di iniettare il veleno della paura tra i cittadini, paventando scenari nefasti”.
E’ poi nello scritto dedicato alla “Repubblica delle destre” che il lettore, specie quello che si riferisce alla esperienza politica del Pd, troverà l’urticante invito a leggere la questione tenendo conto del “cesarismo che è in noi”. Un sano esercizio.