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Le ombre karamazoviane che confondono le linee di redenzione e sopravvivenza

Alberto Fraccacreta

"Le ombre", il nuovo romanzo di Alessandro Zaccuri riesce a esplorare, nella forma dello psico-thriller, quel paesaggio umano del sud i cui limiti si opacizzano a contatto con un Nord altresì diasporico, apparente, eppure riverberante i cortocircuiti del potere

Il Sud è uno dei luoghi in cui più si avverte, nella letteratura italiana contemporanea, il legame con un mondo atavico, primigenio, certamente percorso da timori e tremori che la geocritica non esiterebbe a definire di “trasgressività” dei confini spaziali. Il Sud è quindi legato a una mappatura cognitiva, a una rappresentazione mentale con i suoi clic linguistici, le sue geografie dell’inconscio. Un romanzo come "Le ombre" (Marsilio, 160 pp., 16 euro) di Alessandro Zaccuri riesce a esplorare, nella forma dello psico-thriller, quel paesaggio umano i cui limiti – tra pietre e ulivi, in un “sole pallido” e dentro la “terra spaccata dalla siccità e dal vento” – si opacizzano a contatto con un Nord altresì diasporico, apparente, eppure riverberante i cortocircuiti del potere.

 

Salvo, erede di una famiglia criminale in “soggiorno obbligato” nel Comasco, nell’accompagnare la salma del padre, Don Ciccio, al paese d’origine per la sepoltura, cade in un’imboscata e lo scoppio di una molotov gli provoca tremende ustioni. Da quel giorno è ospite della fattucchiera Santabella, taumaturga e depositaria di un unguento magico, capace di rimarginare le ferite più acute. “L’unguento ha le sue leggi e a quelle si deve obbedire, altrimenti è fatica sprecata. Io vi voglio servire, Don Salvo mio, ma voi dovete servire l’unguento, lo comprendete?”. Attorno al casolare disperso nella campagna siciliana campeggiano altri personaggi, anch’essi opachi, velati cioè da una nebbia di personalità che ne confonde i margini percettivi. Ad esempio Agata, “un’anima buona”, maestra remissiva, “la Maria Stuarda” ancora a lutto per la morte violenta del suo promesso sposo Sabatino: è davvero vicina al protagonista? O i fratelli stessi di Salvo, impegnati in una metodica sottrazione del comando. E ancora: Cesare e Bettina, conviventi di Santabella. Il delfino che dovrebbe ingaggiare il potere è isolato in una stanza buia, senza specchi, nella lontana speranza della guarigione, beffato e schernito dalle Erinni dei suoi ricordi: le ombre. Non può accedere all’esterno, neanche attraverso la lettura dei giornali. Gli è precluso ogni contatto con la realtà. Almeno finché non avrà un viso nuovo.

 

Lo stile di Zaccuri (che riprende alcuni elementi diegetici dello Spregio, romanzo del 2016) è teso, ellittico, impastato di noir e morfologia fiabesca. La virtù del testo – al di là del sapiente rimpasto dello straniamento verghiano, come notato da Roberto Carnero, che lascia emergere descrizioni e opinioni decentrate rispetto al narratore, provenienti direttamente dalla coscienza popolare – è proprio nella sua impalpabilità semiotica (Lotman non potrebbe cavarci un’analisi per polarità): le ombre avvolgono la volontà di affermazione, le ombre sono l’eredità allegorica del peccato originale, confondono le linee di redenzione e sopravvivenza. “Le persiane lasciavano intuire le sagome degli sconosciuti e su quelle ombre, più ancora che sulle voci, Salvo fissava la sua attenzione. Sperava che i suoi occhi, ormai abituati alla semioscurità, cogliessero un accenno di profilo o qualsiasi altro elemento che lo aiutasse a comprendere. Ma le ombre restavano ombre”. In questa tautologia da tragedia greca con fiamme veterotestamentarie si consuma il significato dell’esperienza traumatica di Salvo: la trasmissione del male comporta la propagazione della sua zona d’eccedenza, il territorio di tenebra che si attacca alla consapevolezza e alla sensibilità di chi lo ha assunto. Romanzo in parte dostoevskiano, o meglio karamazoviano, Le ombre porta a compimento le conseguenze metafisico-naturali di punti di vista falsati. Nel prossimo testo di Zaccuri aspettiamo l’ora di Alioscia.

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