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1931-2025

Giorgio Forattini fu commedia dell'arte, l'Italietta politica nel trionfo del suo provincialismo

Maurizio Crippa

Il vignettista di ironia ne aveva da vendere, non avrebbe obiettato alla sorte di morire il giorno di Dick Cheney. È riuscito a trasformare, con tratto pungente, a volte geniale, caricaturale più che cattivo, l’Italia della politica in un gran teatrino dei pupi

Morire lo stesso giorno di Dick Cheney è una bella scalogna, se esiste davvero il famoso tribunale della storia (e lui aveva una vera passione, per l’ultima vignetta, cerimonia a matita degli addii). Ma Giorgio Forattini (Roma 1931, morto ieri a Milano) di ironia ne aveva da vendere, non avrebbe obiettato alla sorte, e poi provinciali come siamo è probabile che le prime pagine di oggi diano altrettanto spazio a lui che all’Uomo nero dei Bush.

 

Del resto del provincialismo italiano – absit iniuria verbis: il provincialismo è uno dei tratti nazionali migliori, anche in politica, e pazienza per quegli snob dei suoi datori di lavoro, Scalfari e la proprietà, che l’Italia alle vongole l’hanno sempre schifata – è stato nel suo piccolo un Leonardo da Vinci. La schifava anche lui, l’Italietta, come tutti noi quando ci mettiamo allo specchio, ma forse un po’ meno. Così è riuscito a trasformare, con tratto pungente, a volte geniale, caricaturale più che cattivo, l’Italia della politica in un gran teatrino dei pupi, compresa la Sicilia a testa di coccodrillo della mafia, ma preferibilmente in una commedia dell’arte sempre uguale a sé stessa. Il tappo Fanfani sparato come un tappo di spumante dal referendum sul divorzio, Craxi con gli stivaloni, Spadolini un putto nudo danzante, Prodi un parroco della Bassa, Berlinguer in vestaglia da milord (si offese molto), Bossi Pluto e Renzi Pinocchio. Un teatrino di provincia in cui uno vale l’altro, e il popolo ogni mattina fa spallucce come il più indignato intellettuale di Repubblica, ma con più gusto.

   

Negli anni del suo lungo regno di prima pagina Forattini più che bombardare i palazzi e le casematte del potere, vero scopo della satira, le ha trasformate in una sitcom espansa e continua, Casa Forattini come Casa Vianello. E gli va riconosciuto a merito che dopo di lui, che da anni aveva chiuso con le matite, nessuno ha saputo riprendere il racconto popolare da dove l’aveva interrotto. A suo merito, sapeva far imbestialire tutti, anche quelli consanguinei ai suoi giornali, come D’Alema per una vignetta sull’affaire Mitrokhin. Da Rep. imbolsita se ne andò, del resto Giorgio Bocca lo chiamò “traditore” (traditore un uomo di satira?), ma poi se ne andò anche dal Giornale per via di una vignetta irriverente sul Cav. Gli auguriamo che a nessuno salti in mente di omaggiarlo con una vignetta di matite abbandonate in riva al mare. Non se lo merita, non era un metafisico, sapeva divertirsi.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"