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La riflessione

Il continuo progettare di un'umanità che vuole abitare il tempo e accelerarlo

 Michele Silenzi

Esserci, per l’uomo, essere presente a se stesso, sembra voler significare abitare il tempo, riempirlo, vivificarlo, farlo accelerare e vivere nell’angoscia di questo vortice che quanto più spingiamo tanto più ci sfugge rapidamente

C’è un magnifico podcast di Paolo Nori, di qualche tempo fa, che s’intitola “A cosa servono i russi”. Non tradiremo la suspense del podcast rivelando la soluzione a questo enigma, ma si può subito dire che Nori fa sempre venire voglia di leggerli, i russi. A me, ad esempio, ha fatto venire voglia di leggere Le anime morte di Gogol’, che nonostante i miei quasi quattro decenni su questa Terra ancora non avevo letto. Oltre a dire che è un libro supremo, non dirò molto altro se non che è imbevuto di umorismo grottesco, gusto del tragico trasformato in farsa, e di farsa che diviene tragedia, una capacità di riprodurre il parlato come se fosse quasi in presa diretta rendendo i personaggi così vivi, e così spaventosamente normali, come quasi mai mi era capitato di incontrare in millanta altre letture. In ogni caso, non è una riflessione su Gogol’ che vi propongo. Bensì sul fatto che a un certo punto, in una delle tante tappe del picaresco e truffaldino peregrinare del protagonista Cicikov, egli viene ospitato da una ricca signora che vive molto fuori mano. Il giorno dopo, per permettere a Cicikov e al suo cocchiere di ritrovare la strada, la signora dice a una ragazzina che stava al suo servizio, una contadinella che gira scalza tra il fango delle pianure, di accompagnare il signore e il cocchiere alla strada principale per poi far ritorno a piedi (svariati chilometri tra andata in carrozza e ritorno a piedi, e in termini di tempo un’intera giornata). 

 

Ho allora interrotto la lettura perché avevo un appuntamento e poi un altro e poi un altro. Allora ho pensato alla contadinella di Gogol’ e alla nostra “differenza del tempo”. Non ho pensato alla “relatività” einsteiniana, o al tempo percepito diverso dal tempo effettivo, nulla di tutto ciò, nulla di così alto o codificato. Riflettevo piuttosto sul fatto che la civiltà, e i suoi mutamenti, sono sostanzialmente fatti di mutamenti dei modi in cui viviamo il tempo. Quanta differenza c’è tra il modo in cui noi pensiamo il tempo (così necessariamente affannoso, veloce e industrioso) e il modo in cui il tempo lo pensava la contadinella con i piedi infangati? Ovviamente c’è una differenza enorme. Ma dove sta esattamente la differenza?

 

Mi sembra sia credibile che la differenza stia sostanzialmente nel fatto che l’uomo più “evoluto”, nel senso di più autocosciente (e che quindi vuole fare qualcosa della propria vita, ossia vuole mettere vita nel tempo ed è libero di farlo autodeterminandosi), si pensa sostanzialmente come “progetto”: ossia come qualcuno che deve costantemente progettare. Progettare cosa? Innanzitutto se stesso, quindi la propria vita, il proprio lavoro, la propria famiglia, i propri svaghi, financo la propria morte. Tutto ciò porta sempre a progettare se stessi. Ma questo progettare significa pro-gettarsi (e qui l’Heidegger di Essere e tempo ci aveva visto più che giusto!), ossia lanciarsi in avanti. In questa futuribilità della propria esistenza mi sembra stia sostanzialmente l’essenza del rapporto tra la nostra civiltà e il tempo. Così il tempo si amplia, si allarga nel futuro, si moltiplicano le possibilità, eppure allo stesso modo il tempo si restringe divenendo più incalzante, più pressante, certo anche più angosciante nel suo tambureggiare sempre più fitto, che va sempre più riempito di progetto. Non a caso, il Faust, l’opera ancora più rappresentativa della nostra contemporaneità, termina quando il protagonista chiede al tempo di fermarsi! 

 

Per la contadinella con i piedi nudi non c’è ovviamente alcun futuro. C’è solo una interminabile ciclicità (delle stagioni e di ogni altra cosa) che si ripete nella sua medesimezza fino alla tomba. Ciclico, quel tempo, si era ripetuto dal tempo immemorabile dei suoi padri, e dei padri dei suoi padri, in una storia senza Storia, ossia senza progressione, senza sviluppo. La contadinella così come i suoi avi, è dominata da una naturalità senza via d’uscita, perché priva di civilizzazione. Proprio perché la civiltà è strutturalmente Storia, ossia progetto. Esserci, per l’uomo, essere presente a se stesso, sembra voler significare abitare il tempo, riempirlo, vivificarlo, farlo accelerare e vivere nell’angoscia di questo vortice che quanto più spingiamo tanto più ci sfugge rapidamente. Una magnifica e tremenda corsa alla cieca attraverso cui ci sentiamo assaliti dalla nostra stessa libertà.  Questa relazione tra tempo e civiltà, che caratterizza l’uomo evoluto rispetto alla contadinella, in nulla risulta più chiara che nel fatto che, da un paio di secoli (ma in realtà da molto prima), l’uomo evoluto è inevitabilmente un capitalista (o un anti-capitalista, ma la prospettiva è la medesima). Il capitalismo rispecchia in maniera ineguagliabile, e forse proprio per questo inevitabile, il nostro rapporto con il tempo. Dico inevitabile nel senso che ci si sforza e ci si sforza di trovare fantasmatici sostituti del capitalismo ma non ci sono alternative per produrre ricchezza, che rimane il surrogato migliore della felicità (che è, invece, in sé un affare squisitamente personale). Cos’altro è il capitalismo, nel suo nucleo più necessario, se non una relazione con l’efficienza? E cosa è l’efficienza se non il modo più esatto di rispecchiare il tempo? Cos’altro è, se non tempo, l’usurabilità del capitale, il suo utilizzo, il suo rendimento? E solo per citare le cose più ovvie. 

 

Allora il capitalismo continua a manifestarsi come una forza di liberazione e civilizzazione, ma certo anche incalzante e angosciosa, proprio perché mostra il rapporto più radicalmente esatto tra l’uomo e il tempo che ci consente di corrispondere alla nostra volontà di progettarci. E’ questo il modo migliore che l’uomo ha trovato per uscire dalla trappola della ciclicità, dal ricatto dell’eterno ritornare della natura priva di coscienza. E’ questo il modo migliore che l’uomo ha trovato per tentare di realizzare se stesso.

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