Foto Ansa 

L'editoriale dell'elefantino

Armani non poteva morire in pace, la guerra celebrazionista è una bolgia di chiacchiera tra paradiso e inferno

Giuliano Ferrara

Il diritto negato a Re Giorgio, sommerso da un overtourism funebre fatto di eulogie stanche, applausi fuori luogo e biografie collettive. Perché esagerare stanca anche la memoria

Sopra tutto, niente pettegolezzi: il defunto ne aveva orrore. Quando la barca dell’amore si infranse contro lo scoglio della vita quotidiana, come reca il biglietto d’addio, il suicida Majakovskij chiese di morire in pace e affidò al governo moglie e amante. Attività lodevole in sé, oggi impossibile, trapassare senza gli scossoni dell’overtourism funebre. L’applauso ai funerali. Il torrente in esondazione dei commenti. Si è Re o Maestro di qualche cosa. Come per il grande Armani, si è disciplina e amore e onore nazionale. Se poi ci sia di mezzo una copertina di Time e la fama mondiale, che guaio. Baudo e Fede sono stati salvati dalla provincia nazionale, e anche intorno a loro però si è scatenata una guerricciola di ricordi, di mezze verità, di falsi sfrontati, di eulogie mal preparate. Ma Re Giorgio no, non poteva morire in pace, la guerra celebrazionista nel suo caso è un chiasso amorevolmente bestiale, una bolgia di chiacchiera tra paradiso e inferno. Uno merita di vivere, fa cose, primeggia, eccelle su tutto e tutti, ma egregia cosa, che il forte animo accende, sarebbe poi lasciare il mondo senza strepito, insepolcrirsi nella calma di mare, con una brezza lieve che accompagna l’oblio nella sua notte, senza i venti della successione, dell’agiografia, che è un pettegolezzo dissimulato, una biografia collettiva scritta o pronunciata da gente che non ha ancora meritato di morire, tantomeno in pace. 

Dal goditi la vita, che è breve e ce n’è una sola, al goditi la morte, che è istantanea e anch’essa senza duplicati. Morire riguarda poco e pochi, il sommerso dovrebbe essere lasciato al minimalismo dei veri ricordi sussurrati e non gettato in pasto alle definizioni postume gridate, a immagini e parole sempre troppo belle, curate come una vetrina personalmente acconciata da uno stilista. Se dicono di te che hai liberato la donna con il greige e la giacca, e ridimensionato il maschio con la mise senza le spalline, ti diminuiscono senza saperlo. Gli uomini sono oggetti misteriosi, quelli di Piacenza e di Voghera misteriosi il doppio. Ciascuno di noi è titolare di una mezza verità, la cattedra che conta è quella dell’onore e del piacere, quando si muore andrebbe ritirata in silenzio la pedana, la compostezza di un buon obituary, che qui cercammo di introdurre copiando gli anglosassoni quasi trent’anni fa, è una collana di fatti senza troppe aggettivazioni, non una collanina che il defunto non avrebbe mai indossato. Capisco il rispetto per la Grandeur di un uomo e creatore, di un businessman incomparabile, di un volto bellissimo e amatissimo, ma sento il bisogno, in morte di qualcuno, specie se grande, di quelle sei parole che stanno nei calendari di tutti i cellulari. Nessun evento oggi. Non hai impegni. 

La morte non è greige, ma nera. Misterioso segnale che gli autocrati rifiutano anche solo di considerare, alludendo tra loro ai trapianti dai cuori di maiali e babbuini, e la celebrazione della vita ha il limite della vita stessa, che è in sé bugiarda e inconclusa proprio quando finisce. Da un certo punto in poi abbiamo fatto dell’estrema unzione, sacramento in disuso, un suono stridulo e pervasivo che richiede di lasciare le orecchie a casa. Esagerare stanca anche la memoria.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.