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paure e speranze

No, l'AI non distruggerà la fotografia. Il manifesto ottimista di Ritchin

Giulio Silvano

Ancora più tecnologia, ma senza timori. Un libro per capire come possiamo usare il machine learning e i tool sviluppati nella Silicon Valley per capire meglio l’ottava arte e le sue potenzialità

Negli Stati Uniti è stata registrata un’esplosione di immagini pedopornografiche generate con l’intelligenza artificiale. Sono così tante che le autorità non sanno come fare a gestirle. L’organizzazione no-profit Internet Watch Foundation ha trovato, solo nei primi mesi del 2025, quasi 1.300 video di abusi sessuali su minori generati con l’AI. Nel 2024 ne aveva trovati, in totale, due. La tecnologia sta migliorando, e i video sono sempre più indistinguibili da riprese reali. I portavoce dell’Internet Watch Foundation hanno detto che sono di fronte “a uno tsunami”, anche perché in mezzo al materiale creato con le macchine vengono mescolate anche immagini vere, di bambini reali. 

L’arrivo dei tool AI fai da te e l’accessibilità democratica a software come DALL-E, Canva o Midjourney sta creando dei mostri. Quello pedopornografico è solo uno dei vari usi – sicuramente il più orribile – degli strumenti generativi di immagini AI, che ormai toccano ogni ambito, dalla propaganda politica alla pubblicità, dai deepfake porno delle star di Hollywood alle copertine dei libri. E poi, come se gli effetti pratici non bastassero, mettono in dubbio la vera aura della fotografia, questa pratica trasformata il secolo scorso in arte, pratica passata dall’essere abilità di pochi ad abitudine di chiunque abbia in mano uno smartphone. Così come a metà ’800 c’era la paura che gli obiettivi distruggessero la pittura, oggi c’è chi si preoccupa che l’AI possa rovinare la reputazione mediatica che nell’ultimo secolo e mezzo si è costruita la fotografia. Diceva Umberto Eco: “C’erano una volta i mass media, erano cattivi, si sa c’era un colpevole. Poi c’erano le voci virtuose che ne accusavano i crimini. E l’Arte (ah, per fortuna) che offriva delle alternative, per chi non fosse prigioniero dei mass media. Bene, è finito tutto. Si deve ricominciare da capo a interrogarci su cosa accade”. E’ una frase che Fred Ritchin, esperto di fotografia, riporta nel suo nuovo libro L’occhio sintetico (Einaudi, traduzione di C. Veltri). Sulla copertina una foto creata con l’intelligenza artificiale di due alieni romantici “nello stile di H. G. Wells”, uno dei tanti esercizi – o giochi – fatti da Ritchin per studiare come funziona la macchina generativa di immagini. Il libro ne è pieno: Abe Lincoln che si fa un selfie, la famiglia perfetta, marziani romantici innamorati, una fotografia di un bot infelice.

Non un testo teorico, quello di Ritchin (come ci si aspetterebbe dalla Pbe) ma una compilazione un po’ boomeristica della grandezza del fotogiornalismo del ’900 (l’autore ha lavorato come picture editor al New York Times Magazine), da Robert Capa, morto su una mina, alle immagini di Alan Kurdi, il bimbo siriano trovato in spiaggia. Ma L’occhio sintetico è anche soprattutto un manifesto ottimista su come possiamo usare il machine learning e i tool sviluppati nella Silicon Valley per capire meglio l’ottava arte e le sue potenzialità.  “Nei media visuali”, dice Ritchin, “continueranno a spuntare modi in cui l’intelligenza artificiale può contribuire ad ampliare la nostra visione anziché indebolirla”. Le nuove tecnologie possono, secondo l’autore, aiutare a combattere la destabilizzazione creata dalla massa gigantesca di foto che ci troviamo per le mani, oltre che ridare forza a un medium che deve ritrovare la sua funzione, e il cui potere è oggi sminuito. Anche perché l’AI, “può esplorare non solo ciò che è, ma anche ciò che potrebbe essere”.

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