Un concerto al Circo Massimo (foto Ansa)

Il Circo Massimo, sempre più squallido e abusato. Così decade una civiltà

Andrea Carandini 

Siamo all’estremo del decadimento della nostra lunghissima collana di civiltà, ma una tale bruttura per dare circensi musicali pagati a privati, violando per di più i decibel previsti, è il Vizio anche lui Massimo: oltre non si può andare

Quando penso al Circo Massimo formo con la bocca la stessa smorfia: il maggiore monumento romano, sempre più squallido e abusato: contrasto spaventoso al mirabile e grandioso Palazzo che splende ancora sul Palatino. Ho capito, siamo all’estremo del decadimento della nostra lunghissima collana di civiltà – ne siamo evidentemente esausti -, ma una tale bruttura per dare circensi musicali pagati a privati, violando per di più i decibel previsti, è il Vizio anche lui Massimo: oltre non si può andare.

 

Innanzitutto il Circo andrebbe scavato, mostrato e raccontato: nessuno in Europa eviterebbe ciò, ma noi siamo speciali! Pur non intendendo scavarlo, le gradinate, i carceres e la spina andrebbero almeno suggeriti da piante di vario genere, con due cipressi altissimi a suggerire i due obelischi spostati. Sì, un luogo dove camminare, andare a cavallo o in bicicletta e stare seduti in sublime e odoroso silenzio – invece che nel brutto fracasso sfonda-orecchi o nei i residui deplorevoli di precedenti iniziative. 

 

Dal Circo si ammira – ormai ignota – la chiesa di Anastasia, sorella di Costantino: la cappella palatina dove per la prima volta è stato celebrato il Natale nel 25 di dicembre, giorno del Sol pagano che rinasce. E’ poggiata sulla balconata della casa di Augusto, dalla quale il primo principe assisteva ai circensi dei Romani: tutti gratuiti, anzi con regalie… Proprio lì la provvida Direzione del Parco insieme alla Sapienza archeologica stanno rivelando il fronte del palazzo di Augusto, che ha cominciato finalmente a mostrare in diretta i primi, più riposti e luccicanti segreti del Lupercale: la sacra fonte e grotta di Fauno, dove Romolo è stato salvato da un picchio, una lupa e Acca Larentia moglie del porcaro Fustulus. Siamo nel cuore più antico e significativo di Roma dove Roma e il suo principato sono stati fondati.  Più a est si esibisce l’immane palazzo “Augustiano”, la città proibita dalla quale è stato governato il mondo tra Nerone e la fine dell’impero di Occidente, di cui si sta cominciando a conoscere le origini (ne ho scritto di recente sul Corriere della Sera).

   

A ovest sta l’isolato, tristissimo ma centrale, di Santa Maria in Cosmedin, che andava interamente riservato al Museo della città di Roma e che rimane invece un coacervo di usi impropri, di vuoti e di abbandoni che in me suscitano l’unica espressione ignota agli animali, perché fondamentalmente morale: il rossore! Infine davanti al Palatino si erge l’Aventino, con l’importantissimo tempio di Cerere – caro alla Plebe – mai identificato e che magari riposa sotto le rose.

 

Immagino nel Circo l’intero contrario: un luogo aperto e ombroso in cui tornare a muovere il corpo, riposare emozioni, sentimenti e intelletti e meditare contemplando – sappiamo ancora di che si tratta? – davanti al più insigne dei passati, l’abissale ignoranza in cui – distrutta ogni scuola – siamo precipitati dopo tremila anni di grandi civiltà. La verità è che la democrazia è in pericolo tra autocrazie secolari e in fasce, che la cultura umanistica è defunta (per quanto se ne blateri) – tutti inginocchiati al Mammona della tecnica – e che al posto della gioia abbiamo progressivamente sviluppato desideri frenetici e tormentanti infelicità. E’ stato da poco nominato un nuovo Papa, che dal palazzo “imperiale” in cui è tornato a vivere si affaccia sull’unico erede del Circo Massimo: l’abbracciante Piazza San Pietro. Ma anche al di qua del Tevere occorre al più presto un leader più che un follower. Lo dice un cittadino che questo sindaco ha votato. La Dittatura ha violentato la storia, a modo sua ancora curandola. La Democrazia la ha abbandonata, attratta dalla dissoluzione di sé stessa, Narcisa anch’essa tra altrettanti Narcisi che rispecchiamo l’ego sull’acqua in cui stanno per annegare.

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