Luigi Serafinin (Vittoriano Rastelli/Corbis via Getty Images)

arte

Chez Luigi Serafini, la casa d'artista che scatena nei fortunati una vulcanica immaginazione

Claudio Sagliocco

Un laboratorio alchemico d’immaginazione dove il Codex si fa dimora e scatena visioni senza tempo. È immediatamente riconoscibile come diretta prosecuzione del cervello serafiniano. Visita a una opera d’arte totale in fieri e costantemente in pericolo

Come la fama di Gogol’ deve molto alla celebre frase di Dostoevskij “siamo tutti usciti dal Cappotto di Gogol’”, quella di Mark Twain è debitoria degli apprezzamenti di Hemingway e così quella di Robert Walser si è giovata delle lodi di Kafka, Musil e Canetti, si può sostenere che Luigi Serafini abbia beneficiato degli interessi e degli elogi dei vari Calvino, Manganelli, Eco, Fellini e Zeri, che furono tutti estimatori riverberanti del suo Codex, pubblicato da Franco Maria Ricci nel 1981. Quel mitico volume, incubato in anni di viaggi on the road – con una Rolleiflex in mano e suole di vento ai piedi – tra gli Stati Uniti, Babilonia e il Congo (dove fu anche prigioniero), colmo di visioni allucinate e lucidi deliri, ha trovato una dimora fisica, non solo cartacea, ma anche nella terza dimensione, nella malinconia dei vivi. La casa romana dove l’autore abita dal 1987, nei pressi del Pantheon, è infatti concretizzazione delle sue enciclopedie immaginifiche, laboratorio alchemico e studiolo, gabinetto di curiosità e museo, opera d’arte totale – Gesamtkunstwerk – in fieri e costantemente in pericolo, dal momento che il proprietario dell’immobile (il Sovrano Militare Ordine di Malta) ne reclama la proprietà. Dopo il grande successo dell’evento Open House, grazie al quale la casa è stata aperta e visitabile per due giorni, accogliendo oltre mille persone, Serafini mi riceve per farmi sondare meglio la vastità spaziotemporale della sua magione. Il luogo è “prazzesco”, nel senso in cui Edmund Wilson si riferiva a Mario Praz e alla sua casa, con quella “mescolanza di macabro e di bizzarro, di grottesco e di incongruo” (Arbasino nel suo ritratto dell’anglista). Solitamente le case degli artisti sono deludenti, poiché tendono a essere consuete abitazioni, che si potrebbe immaginare abitate da chiunque, benché talvolta sorprendenti e invidiabili per ubicazione, dimensioni, arredi e opere contenute.

La “domus seraphiniana” (Giorgio Villani su FMR), invece, è unica perché immediatamente riconoscibile come diretta prosecuzione del cervello serafiniano, inserito in un cranio apparentemente normale ma che certamente contiene moltitudini spaventosamente ampie, come la sua casa-studio-museo-tempio. Un luogo che a confronto la casa di Balla di via Oslavia sembrerà l’appartamento di un simpatico pittore della domenica, divertitosi a dare qualche tinta colorata alle pareti. Nonostante le temperature già ampiamente estive, ci accomodiamo davanti al caminetto, luogo della casa riconvertito al culto totemico del cervo, la cui presenza è pervasiva e in dialogo col cervo di Sant’Eustachio visibile dalla finestra. Tra i grandi palchi dell’animale non più la croce, bensì un uovo, simbolo archetipico onnipresente nel Codex e in casa. Si dice molto stupito per l’esito dell’apertura della casa, per l’entusiasmo, le reazioni, le lunghe code di attesa per visitarla. Lo dice con sorpresa, con “quel sentimento strano come quando vedi l’arcobaleno, un uccello colorato, una stella cadente”. Gli chiedo se lo stupore è una condizione che caratterizza la sua opera. “Lo stupore è uno dei primi sentimenti del bambino e mi accompagna ancora. Non voglio tornare al fanciullino di Pascoli, però è davvero un sentimento che poi si perde”. Parlando di alcune delle opere nella casa, come “l’ora oceanica” all’ingresso (un omaggio ad Alphaville di Godard), rievochiamo alcune sue mostre degli scorsi anni, come quella milanese al Pac, curata da Vittorio Sgarbi. Si dice preoccupato per le condizioni di salute dell’amico, che ricorda con affetto, nonostante alcuni litigi e divergenze: “Ci conoscemmo tramite Franco Maria Ricci, ma da quando entrò nel tubo catodico le nostre vite si separarono, anche perché io mi guardai bene dalla televisione, avevo visto quanto fosse pericolosa. Mio padre era un ingegnere e costruì un televisore dentro casa all’inizio degli anni Cinquanta, appena arrivò il segnale; era enorme, con tutti quei fili, quasi una creatura mostruosa. Per questo mi sono tenuto sempre alla larga dal tubo catodico”. All’ingresso ci sono anche la Skyramid, una piramide egizia in forma di sci, e il croc-egg-dile, un coccodrillo composto da uova all’occhio di bue.


E’ un grande creatore di neologismi, oltre che di linguaggi, chiaramente. Mi mostra una scritta in greco sopra a una porta: “MEDEN AGAN” (“nulla di troppo”, uno dei famosi motti del tempio di Apollo a Delfi. Ci sono anche gli altri due sparsi nella casa). “Sembra che gli antichi greci si divertissero con le parole, c’è qualcosa di ludico nell’inventare parole aggiungendo delle particelle come meta o epi”. A proposito dell’antichità greco-romana, “mio padre mi accompagnava spesso nei Fori quando ero bambino. Al tempo erano ancora pieni di mistero, di magia e di verde, perché una volta scavavano e poi ricoprivano, adesso invece tirano fuori le cose e fanno questi ammassi di pietre intorno a una colonna…”. Abbiamo rovinato le rovine? “Sì. Ci voleva un John Ruskin…”.  Non posso fare a meno di notare nella sua opera e anche nel modo in cui si esprime oralmente un aspetto giocoso, squisitamente ludico. Un homo ludens? “Sì. Etruscus-ludens”.  In On the road un misterioso vecchio pellegrino dice a Kerouac: “Vai e piangi per l’uomo”. Forse nel viaggio americano di Serafini, che mi racconta come un vero viaggio iniziatico, qualcuno gli disse di ridere per l’uomo. Sembra aver fatto suo il motto sessantottino “una risata vi seppellirà”, su cui ha scritto anche un breve racconto per il volume corale di nottetempo La risata del ’68.
Presto la conversazione scivola, si avviluppa, si aggroviglia e poi si scioglie, prendendo direzioni inaspettate come un piccolo corso d’acqua di montagna che segue un pendio scosceso. Luigi è un flusso ininterrotto di connessioni, di link, di parentesi che si aprono e si chiuderanno prima o poi nel corso del discorso.

Mentre è impegnato in una telefonata ne approfitto per sbirciare ancora la casa, ficcanasando nella biblioteca, caratterizzata dalla bicromia rossa e bianca tratteggiata come quella della segnaletica stradale, quasi a indicare un pericolo in quella foresta libresca. I libri rispecchiano la grande varietà dei suoi interessi, dalla botanica alla filosofia, l’ornitologia e l’antropologia, la storia e le arti, con strani affondi specialistici inaspettati, tutti sistemati secondo un curioso criterio di buon vicinato; così che, se vicino ai Paesaggi italiani con zombi di Arbasino si trova giustamente un volume sul Gruppo 63, poco più in là trovano posto Pinocchio e i Colloqui con Foucault di Duccio Trombadori, e le Cosmicomiche dialogano con un Manuale dell’auto e con un volume su Montefiore dell’Aso (grazioso borgo delle sue amate Marche picene). E questa apparente incongruità, questi accostamenti spiazzanti caratterizzano proprio la sua opera e la sua casa, dove nulla è come sembra e tutto è in divenire, proprio come il metamorfico Codex.


Quando la giornata volge al termine ripenso a quel luogo labirintico e misterioso. Se non avessi fatto alcune foto sarei portato a dubitare, manganellianamente, della sua stessa esistenza (“esiste Ascoli Piceno?”. Ah, il Manga!). E invece questo spazio esiste, esiste ancora, ma chi ne garantisce il futuro? E’ stato giustamente riconosciuto un valore estetico-culturale che ha indotto la Corte d’appello a emettere un’ordinanza di sospensione dello sfratto esecutivo nel 2024, rinviando inoltre la prossima udienza a ottobre. Nel frattempo Open House sta organizzando una petizione per salvare la casa, e a questo punto sarebbe fondamentale il riconoscimento di un altro importante valore di questo luogo, un valore immaginifico, in grado di creare immagini e di scatenare nel fortunato visitatore una vulcanica e funesta immaginazione. Perché questa casa ontologica è un focolaio di creatività, innesca in chi la attraversa anche per pochi minuti il germe ludico-creativo proprio del bambino, lo spirocheta dell’artista. Tutelare questo locus genialis significa salvaguardare un grande serbatoio di fantasia, e in un momento in cui l’intelligenza artificiale sembra sull’orlo di sostituire la creatività umana, un abile creatore di universi, un geniale glottoteta come Luigi Serafini può rivelarsi prezioso.

Di più su questi argomenti: