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l'analisi

La scrittura è ormai un vezzo universale e i social l'hanno resa un'arte minore

Giulio Silvano

Scrivere prima del ventunesimo secolo non era appannaggio di tutti. Mentre oggi tutti – o quasi – scrivono. I peggiori però sono i professionisti, che hanno abbandonato il privato e il decoro per essere accolti dalla pancia del popolo online

Così come l’amore romantico non era parte della quotidianità quanto lo è stato poi nel ’900 – oggi chi mai ammetterebbe di essersi sposato per interesse? – scrivere prima del ventunesimo secolo non era appannaggio di tutti. Tutti, o quasi, oggi scrivono, si impegnano nella scrittura, pensano all’effetto delle proprie frasi prima di buttare giù qualche riga in un messaggio di WhatsApp. Questo è il discorso di partenza che fa Arnaldo Greco nel suo E anche scrittore, uscito per Utet (ne hanno scritto su queste pagine, come sempre con grande puntualità, sia Masneri che Gurrado). “Ogni persona si è trovata improvvisamente un pubblico a disposizione, ha provato la soddisfazione di vedere che un proprio testo veniva applaudito. Ogni giorno milioni di scrittori descrivono le proprie opinioni, sui social network o con i telefoni. […] Ogni singolo giorno viene prodotto più testo di quanto ce ne sia stato tramandato in tutta la letteratura latina e greca messa assieme”, scrive Greco. Partendo da qui, Greco scardina le abitudini di chi, scrittore per professione, oppure amatoriale, aspirante o semplice individuo che crede di avere in sé un pizzico di Leopardi, ci pensa qualche secondo prima di scegliere un aggettivo.

E se tutti siamo scrittori, allora questo diventa un saggio sugli italiani e sul loro rapporto con la propria rappresentazione, con l’immagine di sé stessi e del mondo, con i moralismi e vezzi e i vizi che trovano nella scrittura delle spie, campanelli che più di una volta ci fanno sentire, noi che leggiamo questo libro, cringe (oltre che a farci divertire). Scrivere, quando non lo facciamo con l’impegno di un Flaubert o con la naturalezza di un Roth (scegliete voi quale) e il desiderio di scrivere, sono il risultato dei nostri peggiori pensieri, istinti, insicurezze. Si pensi al genitore che a tutti i costi inquina Facebook di narrazioni del rapporto con i figli, sottolineandone pregi e saggezze, o a chi cerca di esprimere poesia nella recensione di una pizzeria su Tripadvisor. Spesso l’effetto è quello dei filistei che di fronte a un Frank Stella dicono “avrei potuto farlo anch’io”.

Ma i peggiori a venirne fuori sono i professionisti, che hanno abbandonato il privato e il decoro per essere accolti dalla pancia del popolo online, che usano parole come “potente” o “necessario” postando una copertina su Instagram. Infatti, se c’è qualcosa a cui si possono ricondurre, in parte, i discorsi aperti da Greco (ogni capitolo potrebbe essere un pamphlet), sono sempre loro, i social. Se esageriamo dicendo che sono la radice di tutti i mali contemporanei – normalizzazione dell’AltRight, estrema solitudine adolescenziale, ADHD, consumismo sfrenato, Antico Vinaio, fake news, Mark Zuckerberg, influencer, complottismi, Edoardo Prati, Cambridge Analytica… – forse non esageriamo dicendo che sono uno dei motivi per cui oggi la scrittura viene trattata come arte minore, perché “siamo tutti convinti di avere capacità di suscitare emozioni negli altri attraverso la scrittura”. Anche gli addetti ai lavori, per via di questi cortocircuiti, hanno cambiato il modo di scrivere e vivere e leggere, concentrando spesso le proprie attenzioni sui follower invece che sui posteri, o sui “venticinque lettori” manzoniani. A breve sarà probabile, scrive Greco, “che uno Scrittore affermato assuma un ghostwriter perché lo aiuti a scrivere un libro, perché lui il privilegio di scrivere gli status di Instagram per tutti quei follower non vuole cederlo”. Abbandonare la suburra di Meta è un tentativo per salvare un’editoria che non a caso è in crisi. Se sono tutti scrittori, si torna a quella vecchia battuta di Beppe Grillo, quella in cui Martelli in Cina chiama Craxi e gli chiede: “Ma senti un po’, qua ce n’è un miliardo e son tutti socialisti, e quindi a chi rubano?”. E se qui son tutti scrittori, chi legge?