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il libro
Il creatore di "True Detective" è in libreria con "Galveston", noir di sangue e paludi
Nic Pizzolatto torna per sfamare gli orfani della serie che ha ridefinito il crime. Nel suo primo romanzo, un picchiatore di New Orleans scappa dai gangster in compagnia di due sorelle misteriose. Un salto temporale tiene incollati alla pagina
Orfani della prima stagione di “True Detective”, c’è pane per i vostri denti. Nic Pizzolatto, creatore della serie che ha ridefinito i contorni del crime in tivù, torna in libreria con il suo primo romanzo, Galveston, tradotto in italiano da Giuseppe Manuel Brescia per minimum fax (285 pp., 18 euro) dopo la prima edizione nel 2010 per Mondadori. Ed è un ritorno al sud degli Stati Uniti, la Galveston del titolo – una Houston marittima – ma anche New Orleans, dove l’autore è nato, le paludi del delta del Mississippi, gli alligatori, le zanzare tanto grosse da poterle grigliare, le bettole fumose, i motel cadenti a pezzi. Lo scenario perfetto per l’espressione del pessimismo cosmico di Matthew McConaughey nella serie, ma che in Galveston viene lasciato da elaborare al lettore: i personaggi che si contorcono fra le pagine non sono affatto inclini alla riflessione filosofica. Non solo: nel cast non compaiono poliziotti, tutto si risolve nel gioco interno alla malavita della Louisiana. Galveston è la storia di Roy Cady, che ce la racconta in prima persona. Picchiatore di bassa lega per un gangster di New Orleans, scampa per un pelo a un regolamento di conti e nella fuga si porta dietro la prostituta diciottenne Rocky con la sua sorellina Tiffany. Le due nascondono un oscuro segreto.
Nemmeno Roy sa spiegarsi bene questo slancio di generosità, di più: non sa spiegarsi la vitalità che improvvisamente lo pervade, visto che poche ore prima ha scoperto di avere il cancro. La risposta che si dà conquista il lettore: per la prima volta nella sua vita un cagnaccio randagio può sentirsi un eroe. Ma non bisogna farsi ingannare: Roy cagnaccio è e cagnaccio resterà nel prosieguo dell’avventura. I tre approdano in uno di quei motel che sono il regno del white trash, i bianchi diseredati ignoranti tossicomani saliti alla ribalta come presunta base elettorale della nuova presidenza Trump. Un po’ faranno da famiglia ai fuggiaschi, un po’ li ostacoleranno, fino all’inevitabile precipitare degli eventi. La storia si svolge in perfetto stile noir con grande spazio alla psicologia del protagonista, che filtra quella di tutti gli altri: per fortuna si rivela un acuto osservatore. Fino a che Pizzolatto non mette in gioco uno degli espedienti narrativi che hanno fatto la fortuna di “True Detective”: il salto temporale, questa volta di parecchi anni dopo. A questo punto è impossibile non arrivare tutto d’un fiato al burrascoso finale, presi dal desiderio di rimettere insieme i tasselli.
Galveston è una storia di sudore, di paludi, circonfusa del tanfo delle carogne a bordo strada e del pescato sui moli desolati. L’umanità che mette in scena è corrotta, ma come tutte le buone storie è una storia di redenzione. Di più, come tutte le ottime storie è una storia di redenzione involontaria. Si tifa per Roy Cady anche mentre mette in campo gli attrezzi del mestiere criminale: lo fa per evitare lo stesso destino all’irresistibile Rocky. Per tutti loro scatta subito il gioco di immaginare un cast in carne e ossa – il film c'è già, del 2018, per la regia di Mélanie Laurent. Ma il bello di Galveston è scoprire come, nella sua cura descrittiva e nel suo ritmo cangiante, non sia soltanto una sceneggiatura.