Innovazione
L'opera è come un fumetto e Rusalka ha il magnetismo di Asmik Grigorian
Sotto la direzione artistica di Stéphane Lissner, al San Carlo di Napoli il capolavoro di Antonín Dvorák diventa una graphic novel. L’azione viene raccontata dai disegni su maxischermo, dal quale entrano in scena anche i personaggi in carne e ossa
Come si racconta oggi la vecchia, cara favola? Ma con un fumetto, ovvio, anzi una graphic novel, che detta così è molto più chic e anche radical, vedi Zerocalcare. Rusalka, capolavorone di Antonín Dvorák in zona scuola nazionale postwagneriana (prima a Praga nel 1901), è appunto una variazione sul tema della sirenetta. Nel caso, Rusalka, che s’innamora del solito Principe prêt-à-porter e, nonostante gli avvertimenti dello Spirito delle acque, ricorre alla strega Jezibaba per diventare umana. Chiaramente poi il Principe le preferisce una Principessa (meno lische?), con tragedia finale per entrambi. In ogni caso l’opera è bellissima e bene ha fatto Stéphane Lissner a sceglierla per la sua ultima inaugurazione da sovrintendente del San Carlo, e speriamo solo che après lui non sia le déluge come pure è possibile quando questa destra maldestra si mette a far nomine amichettistiche e anche un po’ macchiettistiche.
Meglio ancora ha fatto Lissner a scritturare Dmitri Cerniakov, già regista della famigerata Traviata “delle zucchine” alla Scala, in realtà bellissima come questa Rusalka. Tutta una graphic novel, appunto, con l’azione che viene raccontata dai disegni su maxischermo, in cui si aprono dei quadratini di scena dove i personaggi in carne e ossa interagiscono fra loro e con i loro disegni. I sottotitoli italiani diventano i dialoghi del fumetto, mancano solo le nuvolette, mentre quelli inglesi vengono proiettati sul boccascena canonico (l’originale ceco non se lo fila nessuno, e per forza; un ricordo per Paolino Isotta che, recensendo non so quale Janacek, censurò la compagnia perché l’accento era troppo boemo e non abbastanza moravo…). Ovviamente, macché ondine: Rusalka e le altre ninfe sono Esther Williams e il suo corpo di ballo anfibio, e lo Spirito un allenatore lubrico che allunga un po’ troppo le mani sulle sue atlete.
Spettacolo tecnicamente complesso ma benissimo realizzato, dove la regia non si esaurisce nella trovata per avere un titolo sui giornali e fare arrabbiare i melomani medi ma garantisce una recitazione di alto livello. Con personaggi perfettamente caratterizzati, poi: il Principe gira in Ferrari e la Jezibaba è una Wanna Marchi con al collo chili di chincaglieria boema (o morava? O slovacca?), che opera magie però non riesce a far funzionare lo zippo. Cerniakov talvolta strafà: non si capisce, per esempio, perché Guardiacaccia e Sguattero en travesti debbano diventare rispettivamente padre e madre della protagonista, mentre ci sta che nel finale sia lo Spirito, un basso jettatorio e violento, a sgozzare il principe davanti a Rusalka allibita.
Nel ruolo del titolo c’è l’arcidivinissima Asmik Grigorian, regina in carica a Salisburgo e in altri siti, con conseguente transumanza di fan da tutta Europa. Si mette il pubblico in tasca fin dalla romanza della luna del primo atto, che in effetti mi farei cantare da lei tutte le sere, tipo Filippo V e Farinelli; e il carisma deborda perfino quando, come per gran parte del secondo atto, non canta. Però se in scena c’è lei, anche se non fa nulla, non puoi fare a meno di guardarla: è una calamita umana. Terzo atto gigantesco e trionfone finale meritatissimo.
Accanto a lei, si rivede Anita Rachvelishvili, lissneriana della primissima ora in quanto Carmen al Sant’Ambroeus 2009 della Scala: quantum mutata ab illa, certo, ma capace di spremere dalla Jezibaba il succo del grottesco. Buona anche la Principessa di Ekaterina Gubanova, mentre i maschietti, al solito, funzionano meno delle femminucce. Ci vorrebbe uno Spirito più tonante di Gábor Bretz, mentre Adam Smith, il Principe, regge il torso nudo ma non le note della parte, e il timbro tutto è meno che sexy. Dan Ettinger, direttore musicale del San Carlo, è molto efficiente, drammatico quando serve e insomma firma una bella esecuzione (ottima l’orchestra) cui solo manca un po’ più di abbandono nei momenti più lirici. Dame e gentiluomini napoletani all’inizio perplessi e poi conquistati, Asmik-boys in estasi dall’inizio alla fine.