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Il colloquio

Lissner inguaia Meloni: "Resterò al San Carlo. Violenza contro di me perché sono francese"

Simone Canettieri

Il sovrintendente al Foglio: "Sono pronto al ricorso contro il provvedimento del governo: da lunedì i miei avvocati al lavoro, tengo duro". E l'uscita di Fuortes dalla Rai ora si complica

 “Allô?”. Stéphane Lissner risponde al Foglio. E’ rilassato, non sembra preoccupato.  “Terrò duro, vedrete. Anzi, ringrazio chi in queste ore mi sta manifestando solidarietà: merci, grazie mille”. Giovedì il governo di Giorgia Meloni con una norma contra personam ha fatto sì che il sovrintendente esca dal San Carlo. Il direttore teatrale francese, già numero uno della Scala di Milano e dell’Opéra di Parigi, ha settant’anni. E il codicillo approvato dal Cdm  sulla governance delle fondazioni lirico-sinfoniche prevede “il divieto di ricevere incarichi, cariche e collaborazioni per coloro che hanno compiuto il settantantesimo anno di età”. Un modo per equiparare l’età pensionabile dei sovrintendenti italiani a quelli stranieri, ma soprattutto è lo scivolo per spingere Carlo Fuortes via da Viale Mazzini direzione San Carlo. Voilà? Non proprio.  

Il decreto con lo sblocca Rai dovrebbe finire in Gazzetta ufficiale lunedì o al massimo martedì. Il presidente della Repubblica dovrebbe firmarlo quando tornerà in Italia, da Londra, dopo aver partecipato alla cerimonia di incoronazione di re Carlo. E però nel governo i timori che la faccenda sia più complicata di quanto previsto ci sono eccome. Anche perché Lissner non sembra intenzionato a farsi da parte. E dice in questa conversazione: “Da lunedì inizieranno a rilasciare interviste i miei avvocati. Io tengo duro e non voglio muovermi. E’ una vicenda complicata che va spiegata dai miei legali”. Quando dovrebbe fare la valigia? “All’inizio ero stato avvisato con un messaggio in cui mi si diceva che dovrei andare via dal 1° giugno. Ora pare dal 10 giugno, come scritto nel decreto”. Il sovrintendente ha le idee chiare: à la guerre comme à la guerre.  E’ convinto insomma di vincere il ricorso contro il governo. Un’evenienza già adombrata anche dalla Lega, ovviamente per fini politici, che continua a tenere sulla corda gli uomini di Meloni. Intenzionati ormai ad andare avanti seppur con le dita incrociate. “I miei avvocati stanno lavorando ai ricorsi. C’è un bravo costituzionalista e un altro esperto in diritto del lavoro”.

E’ pronto alla resistenza? “Certo, io tengo duro”, e ride. Ma come giudica questo intervento del governo? “E’ molto violento. Voglio dirlo: tutto questo nei miei confronti è molto violento”, il sovrintendente pronuncia questa espressione in un italiano molto comprensibile. Ma non con il tono di chi è ansioso di vendetta, bensì di chi è convinto di spuntarla non avendo forse molto da perdere.  Viene da chiedergli se la norma che lo rimuove in concomitanza e l’ennesima crisi diplomatica Italia–Francia sono due fatti che in qualche modo si parlano. Se insomma c’è, tra le pieghe di questo provvedimento, anche un po’ di spirito anti francese che trasuda da sempre nelle parole di Fratelli d’Italia, ben prima dello sbarco a Palazzo Chigi. O forse magari è proprio una coincidenza il fatto che nel giorno in cui il governo Macron è tornato ad attaccare Roma sui migranti, beccandosi la reazione di Giorgia Meloni, si sia decisa la sua uscita coatta? Insomma, sovrintendente sente che su di lei c’è anche, al di là della prioritaria mossa per fare spazio a Fuortes, un pizzico di ostilità contro voi francesi? “Sì, è così”, risponde. Ma poi aggiunge e spiega meglio senza allargare di più il caso. “Ho capito ormai che ci sono sempre dei cicli. Dei momenti alterni di tensione tra Italia e la Francia, cicli duri e cicli meno duri. Adesso è un ciclo duro”. Segue una risata. E un “forza Napoli”, visto che ormai l’euforia per il terzo scudetto dei partenopei ha invaso tutto il golfo di Napoli, compreso quello mistico del San Carlo. “A presto, e parlate con i miei avvocati. Da lunedì si metteranno al lavoro e saranno pronti a rispondere a tutte le domande”, si congeda Lissner con l’aria di chi pensa non è che un debutto. Evidentemente queste sicurezze, il ricorso ai giudici del lavoro, il rischio che Carlo Fuortes non si dimetta davanti a sviluppi legali devono essere piombati anche a Palazzo Chigi. Perché fuori da questa vicenda c’è poi tutta la partita della Rai, quella che interessa a Giorgia Meloni, quella che l’ha spinta a forzare la mano. L’ad dice in giro che aspetta la conversione del decreto, dunque di settimane ne passeranno. E poi allo stesso tempo, conoscendo bene il ramo, mette in conto che il suo collega francese venderà cara la pelle, armato di carte bollate. Tutto questo accade, e qui c’è l’eterna commedia italiana tra il serio e il faceto, mentre le cronache sono dominate dal tentativo di ricucire lo strappo che l’Eliseo ha causato. La premier Elisabeth Borne ha invocato un “dialogo pacifico” tra Francia e Italia all’indomani delle dichiarazioni del ministro dell’Interno di Parigi, Gérald Darmanin, sull’incapacità di Roma di gestire il dossier immigrazione. Tuttavia queste parole non bastano a Giorgia Meloni che si aspetta una telefonata riparatoria da Emmanuel Macron. Questa vicenda magari sgonfierà come un soufflé, quella di Lissner al San Carlo no. “Io tengo duro”.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.