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storia

Il Ventennio di Gentile. A 80 anni dalla morte, una mostra racconta il filosofo “organizzatore di cultura”

Giovanni Belardelli

Al di là della riforma scolastica, l’azione di Gentile si caratterizzò soprattutto per una serie di iniziative nel campo dell’organizzazione della cultura, attraverso le quali il filosofo era convinto di poter favorire la collaborazione di gran parte degli intellettuali al regime fascista. Ora viene raccontato in un'esposizione a Roma

Sono passati ottant’anni dalla morte di Giovanni Gentile, avvenuta a Firenze per mano di partigiani comunisti il 15 aprile 1944: un episodio che da allora non ha mai smesso di far discutere. Benché poco amato dalle correnti più radicali del fascismo, che lo consideravano troppo legato all’Italia liberale in cui si era formato, Gentile fu uno degli intellettuali più rappresentativi del regime. Ma non aveva mai avuto, se si esclude la sua permanenza al dicastero della Pubblica istruzione nel 1922-’24, ruoli politici rilevanti: nel 1944 era soltanto presidente della nuova Accademia d’Italia appena traslocata sotto le insegne repubblicane di Salò. Dunque, per quanto la sua morte vada inserita nel clima ultimativo di una guerra civile, si trattò pur sempre dell’assassinio politico di un intellettuale. 

 

Nell’anniversario della morte, si apre a Roma una mostra che, della vita di Gentile nel Ventennio, mette a fuoco un aspetto particolare ma rilevantissimo: l’azione da lui svolta come “organizzatore di cultura”, animatore di attività per un verso legate alla politica e per l’altro rivolte a un’ampia fetta di cittadini (per questo la mostra utilizza come titolo un’espressione dello stesso Gentile, “Scendere per strada”).  Le iniziative culturali del filosofo durante il regime non erano riconducibili interamente al fascismo, a cominciare dalla sua riforma scolastica che non fu affatto la “più fascista delle riforme”, come la definì Mussolini nel 1923 e come pigramente si ripete spesso. Non a caso nel 1931 il duce si corresse, dichiarando che si era trattato di “un errore dovuto ai tempi e alla forma mentis dell’allora ministro”. In effetti la riforma della scuola raccoglieva tutto un dibattito che aveva animato la cultura italiana già prima della Grande guerra ed era stata accolta inizialmente con favore anche da intellettuali antifascisti. Il suo impianto elitario, che poneva al centro il liceo classico come strumento di formazione della classe dirigente, doveva entrare presto in rotta di collisione con le aspirazioni di promozione sociale di quanti venivano da quella piccola e media borghesia che guardava con favore al nuovo governo mussoliniano. 

 

Ma, al di là della riforma scolastica, l’azione di Gentile si caratterizzò soprattutto per tutta una serie di iniziative nel campo dell’organizzazione della cultura, attraverso le quali il filosofo era convinto di poter favorire la collaborazione di gran parte degli intellettuali al nuovo regime. E’ molto noto il caso dell’Enciclopedia italiana (la Treccani), che secondo Gentile, suo direttore scientifico, avrebbe dovuto avere un carattere “nazionale superiore a tutti i partiti politici”. L’obiettivo fu raggiunto solo in parte: se le voci enciclopediche più legate alla politica del regime non sfuggirono ai condizionamenti, le pressioni più consistenti vennero semmai dalla Chiesa per le materie che essa considerava di sua competenza, come “Spirito” o “Origine dell’uomo”. Ma è significativo che voci come “Comunismo”, “Socialismo”, “Materialismo storico” venissero affidate a uno studioso socialista come Rodolfo Mondolfo o che della sezione di Antichità classiche fosse responsabile Gaetano De Sanctis, uno dei professori universitari che nel 1931 persero la cattedra per il rifiuto di prestare il giuramento di fedeltà al regime. 

 

Per quel che riguarda i vari organismi presieduti da Gentile, le dimensioni del condizionamento politico variavano a seconda del carattere dell’istituzione: il caso dell’Istituto italiano di studi germanici (presso cui lavorarono due studiosi del valore di Carlo Antoni e Delio Cantimori) è molto diverso da quello dell’Istituto nazionale fascista di cultura, direttamente finalizzato a un’azione di propaganda. Eppure, nemmeno in quest’ultimo caso si può dire che venisse del tutto a mancare un intrinseco valore culturale, se nel 1932 proprio l’Istituto appena citato pubblicava La democrazia in America di Tocqueville, a cura di Giorgio Candeloro (per inciso, la stessa traduzione viene ancora oggi stampata nella Biblioteca universale Rizzoli). 

 

Il tema della mostra romana rinvia a un fenomeno che non sarebbe affatto scomparso con la fine della dittatura. Attraverso l’operato di Gentile si affermava infatti un modello di attività culturale che poneva al centro l’impegno organizzativo, in connessione con i poteri pubblici, nella convinzione che la politica fosse anche, e forse prima di tutto, questione da affrontare sul piano dell’egemonia culturale. Già l’egemonia: per quanto si tratti di un accostamento che può apparire imbarazzante, tutta la riflessione carceraria di Gramsci su “Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura” (fu questo il titolo di uno dei volumi dell’edizione cosiddetta tematica dei Quaderni del carcere, quella promossa da Togliatti), forse lo stesso concetto gramsciano di egemonia, risentono anche dell’azione svolta da Gentile nell’Italia tra le due guerre. Come ne ha risentito  la vita intellettuale dell’Italia repubblicana. La mostra sul Gentile organizzatore di cultura ci parla dunque della sua attività durante il fascismo, ma implicitamente anche di molto altro.

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