Gerardo dei Tintori - foto Getty Images

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Gerardo dei Tintori, il santo che fece l'ospedale

Maurizio Crippa

La storia del ricco laico di Monza che 850 creò una struttura per curare poveri e malati, alla base della moderna e libera sanità del mondo di oggi

"Ut curam infirmorum habent", "perché abbiano cura degli infermi". Che nel latino medieval-lombardo che già anelava a farsi lingua nuova per una società nuova non erano più soltanto i “malati”, ma anche i poveri, gli affamati, i senza casa. Tutti quelli che oggi, anziché infermi, chiameremmo “fragili”. Fu esattamente 850 anni fa, fu esattamente il 19 di febbraio del 1174, che un uomo di quarant’anni, energico e non di bassa statura per quell’epoca, non di classe nobile ma di famiglia benestante – erano artigiani, tintori della lana e di pannilani – convocò i consoli del comune di Modoetia, l’arciprete Oberto, massimo rappresentante in città del vescovo di Milano, e i canonici del duomo di San Giovanni Battista. E mise sotto il loro naso una pergamena da firmare, una “Conventio”, un atto notarile, una stipula con cui otteneva che l’opera pia da lui iniziata e a cui aveva deciso di dedicare tutta la vita, nonché tutte le sostanze ereditate dal padre, cioè l’hospitale pauperum che sorgeva dove prima c’era la tintoria, sulla riva sinistra del Lambro, diventasse un’istituzione civica capace di avere continuità e mezzi nel tempo. E in piena libertà.
 

L’atto di fondazione di uno dei più antichi ospedali d’Italia e d’Europa, e allo stesso tempo uno dei primi moderni per concezione e struttura organizzativa. Quell’uomo si chiamava Gerardo, Girardus de Tinctoribus. Trent’anni dopo, poco tempo dopo la sua morte, la vox populi (che è vox fidei) già lo chiamava santo. Molti anni dopo, 850 appunto, l’ospedale di Monza, tra i più grandi di Lombardia, è ora una Fondazione Irccs e porta ancora il suo nome: Ospedale San Gerardo dei Tintori. Non un caso, hanno riconosciuto tutti i partecipanti, il 19 febbraio scorso, a un bel pomeriggio di celebrazioni e approfondimenti storici a Monza: “Gerardo comprende che il futuro del suo sogno può essere garantito da un patto che lega Chiesa, comune e i suoi conversi: la convenzione che porta la data 19 febbraio 1174 è un esempio ancora interessantissimo di intelligenza amministrativa”, ha detto il presidente della Fondazione del San Gerardo, Claudio Cogliati. Ma la storia di Gerardo e del suo ospedale, molto ben documentata (la pergamena della “Conventio” è conservata nel duomo di Monza), avvolta in una patina di mito taumaturgico (attraverso il Chronicon modoetiense dello storico medievale Bonincontro Morigia) e tutt’ora viva nel sentimento popolare e civile della città e della Brianza, vale la pena di essere raccontata e conosciuta. Perché oltre al fascino del tempo ha molte cose da indicare all’oggi
 

Gerardo era dunque figlio di tintori, classe imprenditoriale benestante e in ascesa. Non un giovane irrequieto, certo di salda spiritualità, ma un tipico esponente della generazione nuova, affrancata dalla povertà, che stava vedendo il mondo cambiare. Dodici anni prima, era il 1162, aveva visto di persona la distruzione di Milano per mano del Barbarossa; gli scampati s’erano rifugiati nelle campagne e su fino a Monza. Assistere quei poveri, quei feriti, era diventata la sua missione. Nacque così, dall’impulso di una concretezza brianzola ante litteram, una nuova idea di ospedale. Gli ospedali, in Europa, c’erano già. Il più antico, l’Hotel-Dieu, era stato fondato nel 651 da san Landerico vescovo di Parigi sull’isolotto dove ancora non era sorta Notre-Dame. A Roma Santo Spirito in Sassia, il più antico d’Italia, era nato per accogliere i pellegrini Sassoni che venivano dal Papa. Ma la Ca’ Granda di Milano nacque solo nel 1456, e fu gesto patrizio di Francesco Sforza. E anche lo Spedale degli Innocenti, finanziato dall’arte della Seta, fu inaugurato a Firenze a metà del Quattrocento, mentre a Napoli l’ospedale degli Incurabili fu fondato nel 1521. Persino l’antico Heiligen-Geist-Hospital di Lubecca nacque dopo di quello di Gerardo. Date a parte, la vera differenza è che quegli antichi ospizi e Hotel-Dieu erano sorti attorno a cattedrali o conventi e, più tardi, vennero creati e controllati da poteri politici o ricchezze private. Uno dei più celebri Hôtel-Dieu ancora esistenti, quello di Beaune, era stato fondato nel 1443 da Nicolas Rolin, un ricchissimo e lungimirante politico rinascimentale deciso a prepararsi, con le sue sostanze ben spese, un posto in Paradiso.
 

La “Conventio” di Gerardo parla di un altro mondo, un mondo nuovo. Perché in quegli anni sorgono una società, una povertà e una spiritualità nuove. Francesco d’Assisi nasce poco dopo, nel 1181, e anche lui getterà le vesti e le ricchezze di Pietro Bernardone. Gerardo non si farà frate, non fonderà un ordine mendicante come l’altro suo quasi coetaneo, Domenico di Guzmán. Ma ci sono i nuovi poveri, la società dei mercanti e degli artigiani si trasforma e Gerardo decide di buttarsi nella sua impresa. Non accoglie solo pellegrini ma poveri e malati, anzi va lui stesso a cercarli per le strade di Monza, se li caricava sulle spalle e li ricoverava: “Leprosos manu sua tergebat; omnes infirmos cum osculo pacis recipiebat”, racconta il Morigia. Come spiega lo storico del Medioevo Renato Mambretti in un saggio dedicato a Gerardo e al suo “Hospitale Pauperum”, quei decenni creano un mondo nuovo, ed è il momento di molti santi che vengono non più dai monasteri, dalle cattedrali, ma dal “populus”, come Omobono da Cremona o Raimondo di Piacenza, creatori di ospedali. Nella Monza del XII secolo c’erano quindici conventi, e ognuno significa anche una infermeria o un ospizio, e c’erano già l’ospedale San Biagio e quello di Sant’Agnese. Ma con Gerardo è subito diverso. Accoglie i fragili, il suo lavoro è ispirato a criteri che per l’epoca erano d’avanguardia: l’igiene, l’alimentazione (è prevista la distribuzione di vino ogni giorno). C’è l’obbligo di visitare quotidianamente i malati; ci sono, diremmo in pianta organica, due medici: uno “de phisica” e uno “de plagis”. Attorno a sé Gerardo raduna dei “conversi”, personale laico che ha fatto come lui una scelta di vita e di servizio religiosa. Ma niente monaci e niente suore. Una scelta innovativa, la chiesa in quegli anni spingeva i “non religiosi” verso un maggiore impegno sociale. Nell’esperienza di Gerardo si sommano così due aspetti: “Una risposta a esigenze assistenziali inderogabili ma al tempo stesso la compiuta espressione della coscienza e del sentire religioso di un variegato e intraprendente mondo laicale”, scrive Mambretti.
 

Così sorge per la prima volta un’idea universalistica della sanità, e un’idea moderna di filantropia che ha ancora molto da insegnare. La Fondazione Irccs San Gerardo è nata solo nel 2023, ma il grande ospedale lombardo (ha accolto il maggior numero di ricoverati durante il Covid) è un pivot del tessuto sociale locale, fatto anche di forte presenza dell’associazionismo e del volontariato, oltre cinquanta sigle attive nei più diversi ambiti, a testimonianza del virtuoso scambio tra ciò che è pubblico e ciò che è iniziativa sussidiaria che in queste terre ha una lunghissima storia. “La democrazia è una forma sublimata di amicizia”, ha detto il sindaco Paolo Pilotto citando Maritain. E in tempi in cui, soprattutto in Lombardia, si discute così tanto di autonomia e di sanità pubblica e privata il modello gerardiano rimane interessante. Gerardo non è solo lo stemma di un Irccs, è un santo ancora vivo in città. La parrocchia a lui dedicata e dove il suo corpo è conservato sta celebrando un vero e proprio Anno santo gerardiano, che unisce agli 850 anni della “Conventio” anche i 400 anni dalla “traslazione” nell’urna che ne conserva il corpo.
 

E tutto nasce da quel documento, da quella pergamena “esempio interessantissimo di intelligenza amministrativa”. Anche se non viene spesso citato nei Guinness – forse perché il luogo fisico del primo ospedale non c’è più, anche se è stato attivo fino all’Ottocento dove ancora sorge la chiesetta di San Gerardino, l’ospedale dei poveri di Gerardo ha i suoi primati da raccontare. A partire dalla scelta di mettere nell’opera tutti i beni ereditati, un esempio di quello che oggi chiameremmo giving back: restituzione ai meno fortunati di quanto la fortuna ti ha concesso. Ma Gerardo temeva che il suo nuovo modello organizzativo potesse non sopravvivere dopo la sua morte. Così il 19 febbraio 1174 le autorità religiose e civili accettarono le sue regole. A decidere in futuro saranno i conversi, i suoi compagni che fanno l’ospedale. “Nella convenzione si stabilì che al Comune spettava l’avocazia della recente fondazione”, cioè la sua difesa strutturale, mentre alla Chiesa spettava la vigilanza morale sulla qualità di chi lo avrebbe guidato. A Chiesa e comune veniva riconosciuto il diritto di procedere, assieme alla comunità dei conversi, all’elezione di decani tratti “de populo Modoetie” e preposti alla cura dei malati. Ma né il comune né la Chiesa avrebbero potuto imporre propri candidati e soprattutto veniva loro vietato di interferire nella gestione del patrimonio. Sembra lo statuto di una moderna fondazione, in cui finalità etiche e funzionali sono garantite, ma l’ingerenza della politica e di altri soggetti viene esclusa. L’ospedale è di chi lo fa e lo custodisce, “ut curam infirmorum habent”. Michele Riva, docente di Storia della medicina all’Università di Milano-Bicocca, spiega: “Il nuovo ospedale si distingue dagli altri per la sua indipendenza dall’autorità ecclesiastica e civile. Non viene fondato e gestito da un ordine religioso, ma da un privato cittadino”. Prosegue lo storico: “Con questo atto, unico nel suo genere per l’epoca, il fondatore vuole assicurare l’autonomia della sua istituzione sia di fronte all’autorità civile come da quella chiericale, anche se l’una e l’altra sono invocate a garanzia dell’opera stessa”. 
 

L’hospitale pauperum, che già ormai veniva chiamato “de Girardus”, era nato e era pronto a lasciare il suo buon esempio alle generazioni future. E lui a essere chiamato santo, sì. E quasi subito. Se la storia di san Gerardo è così viva è anche perché questa figura di laico ha segnato la sua epoca. Morto il 6 giugno 1207, già nel 1230 Gerardo è indicato in testi notarili con la qualifica di beatus, e nel 1247 con quella di sanctus. Perché a quei tempi la carità e la santità erano certificati per prima cosa dalla vox populi che le riconosceva. La prima fama di santità venne in realtà da un paese vicino, Olgiate Comasco, dove solo quaranta giorni dopo la sua morte Gerardo fu invocato a protezione contro un morbo contagioso che mieteva numerose vittime. L’invocazione salvò gli olgiatesi, che ancora oggi ogni anno scendono in pellegrinaggio in città. Finché sarà poi San Carlo a promuovere un attento processo e  a ufficializzare la santità nel 1527.
 

A dipingere attorno alla sua figura un’aura di mito taumaturgico contribuirono invece leggende e cronisti, come il celebre Bonincontro Morigia, cui si deve il racconto del miracolo per cui Gerardo va più famoso: durante una piena del Lambro aveva steso il suo mantello sulle acque usandolo come zattera per portare soccorso ai suoi malati. O il miracolo popolarissimo del cesto di ciliegie donate, in pieno inverno, ai custodi del duomo affinché gli concedessero di entrare a pregare. Così Gerardo è popolarmente anche il santo delle ciliegie, da secoli il 6 giugno vengono per la sua fiera tra le viuzze di Monza interi carri di ciliegie dal contado. Bonvesin de la Riva nelle sue Meraviglie di Milano racconta che all’inizio dell’estate entravano in città sessanta carri carichi di ciliegie ogni giorno, apologia dell’abbondanza felice. E la Monza di Gerardo non era da meno. Santo taumaturgo e laico moderno, sanità e operosità, Gerardo insegna ancora.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"