La copertina del libro di Francesco Maria Colombo

Letture

Malinconici splendori dell'ebraismo in Italia. Oggi, un libro necessario

Alberto Mattioli

"Zohar". Significa splendore ed è un "viaggio fotografico nei luoghi della cultura ebraica italiana", da Trieste in giù. Gli scatti di Francesco Maria Colombo

Zohar, cioè “Splendore”. S’intitola così l’ultimo libro di Francesco Maria Colombo, un “viaggio fotografico nei luoghi della cultura ebraica italiana”, da Trieste in giù, tante sinagoghe, certo, ma anche cimiteri, monumenti e orrori: si inizia alla Risiera di San Sabba e si finisce alla Centrale di Milano con quel cartello in fondo al binario 21 dei vagoni merci che mette i brividi: “Vietato trasporto persone”, e invece... Uomo dal multiforme ingegno, come avrebbe detto Ippolito Pindemonte, FMC è stato a lungo critico musicale del Corriere della Sera, poi direttore d’orchestra, scrittore raffinatissimo, conduttore di programmi televisivi ovviamente di nicchia, autore di cronache culturali per il Sole 24 Ore e di non meno memorabili cocktail. E, appunto, fotografo. Delle fotografie, chi scrive capisce nulla, appena se sono sfocate (e nemmeno sempre), quindi non saprei proprio giudicare se quelle raccolte qui siano “belle”. Posso soltanto dire che mi hanno emozionato: le sinagoghe italiane hanno interni magnifici, splendidi, appunto, in una varietà e talvolta giustapposizione di stili dove si ritrovano tutta l’arte e l’architettura europee regolate da norme religiose e, direi, da sensibilità ovviamente diverse.

Gli esterni, invece, in epoche di persecuzioni e ghetti erano tradizionalmente dimessi; diventarono riconoscibili e trionfanti solo dopo l’Unità: i revisionisti del nostro Risorgimento dovrebbe ogni tanto pensare che è stata la prima volta che in questo paese tutti i cittadini sono stati, finalmente, uguali davanti alla legge. Predomina uno splendore un po’ fané, discreto, levigato dall’uso e opaco come l’oro antico, con una punta di melanconia che spunta da queste sale chiaramente silenziose, spesso in penombra, sempre affascinanti, come nei banchi numerati e vuoti della sinagoga di Modena. Ci ha messo sei anni, l’autore, per scattare queste foto su e giù per la Penisola. E cita un verso di Parsifal, noialtri wagneriani sempre lì caschiamo: “Ich schreite kaum, doch wähn’ ich mich schon weit”, cammino appena, ma mi sento già lontano, e d’altronde se esistono davvero dei luoghi dove il tempo diventa spazio sono appunto questi. Del resto, la flânerie è un’attività culturale solo se sa vedere e non ci si limita a guardare. 

Fanno pensare anche le poche note dell’autore in una “excusatio non petita” che segue i contributi di Adachiara Zevi, Alberto Manguel e Sandro Parmiggiani, anche curatore del volume. Qui FMC condivide due esperienze, anzi due mancanze, credo comuni a molti: che nessuno, al liceo, gli aveva mai parlato di quanto i luoghi sacri, e in extenso la cultura ebraica, “concorrono a definire la fisionomia artistica e spirituale d’Italia”, e che mai, prima dei cinquant’anni, era entrato in una sinagoga. Eppure, di quel complicatissimo manicaretto che è l’Italia gli ebrei sono stati un ingrediente sempre presente, e talvolta il lievito: la storia comune, senza di loro, sarebbe semplicemente inimmaginabile. E d’altronde basta guardarle, queste sinagoghe manieriste, barocche, neoclassiche, neorinascimentali e poi, con l’Ottocento, neotutto fino a eclettismi ed esotismi sfrenati (la sinagoga di Pisa), un tripudio di marmi, ori, stucchi, velluti, iscrizioni, ferri battuti, menorah e lampade rituali che sembrano davvero incensieri. Non è la “loro storia”, è la nostra storia quella che racconta questo libro: e da due millenni. FMC fotografa anche l’antichissimo bagno rituale di Casa Bianca, scoperto in un sotterraneo di Siracusa nel 1989, e nel suo dotto saggio Manguel ricorda che alcuni anni fa, a Ostia, sono venuti alla luce i resti di una sinagoga del Primo secolo, “costruita forse ancora prima della distruzione del Tempio”.

Poi, sono questi bruttissimi tempi di antisemitismo sempre meno strisciante e sempre più conclamato, praticato, violento, magari con il pretesto, o l’alibi, di guerre valutate con sbrigatività rozza e manichea, a trasformare un libro bellissimo in un libro, oggi, necessario.

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