British Museum (Ansa)

cortocircuito

I paradossi dello scontro tra Mitsotakis e Sunak sul Partenone

Maurizio Crippa

Chi ha davvero ragione tra Grecia e Regno Unito, e quando la rivendicazione anticoloniale scivola in una affermazione di sovranismo?

In un mondo dell’arte, o meglio del consumo artistico globale, in cui un artista-brand come Banksy fa tagliuzzare in diretta un suo quadro e tutto il mondo intorno applaude la trovata di marketing (simile a quella di Damien Hirst che brucia le sue opere vendute in copia digitale NFT), perché dovrebbe essere così assurda l’idea di tagliare in due, come nella storiella di Salomone, la Gioconda e dividerla in due musei? La Gioconda ugualmente ridotta, sebbene intera, a Non-Fungible Token di sé stessa, macchia digitale archiviata in miliardi di smartphone che nessuno riguarderà mai? Del resto, nell’epoca della fungibilità economica dell’opera d’arte, ha perfettamente ragione il premier greco Kyriakos Mitsotakis quando dice alla Bbc, della Gioconda dimezzata: “Pensi che i tuoi spettatori ne apprezzerebbero comunque la bellezza?”.

Il valore dell’arte sta nel numero dei suoi visitatori, what else? Fine del paradosso (non state a dire eh ma la Gioconda, la storia, il Genio da Vinci: lo sappiamo già). Si può passare al paradosso vero nella nuova puntata dello scontro tra Grecia e Regno Unito per la restituzione dei fregi del Partenone, che dura da duecento anni ma è riesplosa due giorni fa quando il premier Rishi Sunak ha annullato un incontro con Mitsotakis dopo le sue dichiarazioni polemiche in materia. Colonialismo contro sovranismo, il cortocircuito perfetto. 

La vicenda dei marmi del British Museum è nota: i britannici ritengono regolare l’acquisto al tempo dell’impero ottomano, la Grecia da sempre ne chiede la restituzione, in quanto indebita sottrazione dell’epoca coloniale. La vertenza sembrava vicina a una soluzione – il British sarebbe disposto a restituire una parte dei preziosi marmi – ma è proprio sul (poco) salomonico taglio che l’intervista di Mitsotakis e l’irritazione di Sunak potrebbero far saltare  tutto. Non è politica e neppure soltanto disparità di forze. Il primo aspetto del paradosso è che la Grecia, al netto delle esternazioni fumantine del premier di Atene, nel nuovo ordine mondiale culturale (il diritto discende dalla cultura) ha lo scalpello dalla parte del manico. Il colonialismo, e qualsiasi suo portato o derivato, è in cima alla classifica dei mali da cancellare e ripulire, con risarcimenti a volte impossibili. E questo da ben prima che tracimassero i cultural studies. All’inizio del suo mandato Macron annunciò la volontà di restituire – al Benin e altri paesi – di importanti opere d’arte africana custodite in  Francia. La cosa provocò un aspro dibattito, perché il confine tra ciò che è stato sottratto e ciò che, una volta acquisito, è diventato patrimonio non più solo di chi l’ha prodotto ma di chi lo ha valorizzato inserendolo in altri contesti, non è così facile da delineare. E’ come, appunto, domandarsi di chi siano le migliaia di opere italiane in giro da secoli per il mondo.

In ogni caso, la forza del diritto sta da una parte; lo scorso anno l’università di Cambridge ha deciso di restituire cento preziosi bronzi sottratti al Benin, mentre Berlino non ne vuol sapere di restituire il Busto di Nefertiti o dell’Altare di Pergamo. Chi ha davvero ragione, e quando la rivendicazione anticoloniale scivola in una affermazione di sovranismo? Del resto c’è anche chi si chiede (l’argomento non è estraneo alle considerazioni del premier greco) se l’arte africana sia oggi più visibile e valorizzata – anche per l’impatto delle culture non europee – in Africa o in un grande museo occidentale.

E qui c’è l’ultimo gustoso paradosso: il colonialismo che ha fatto anche cose buone. In cento anni di sgangherato dominio ottomano i fregi di Fidia si sarebbero deteriorati; a Londra sono stati visti da molti milioni di persone in più di quelle che sarebbero andate in pellegrinaggio ad Atene. Lo stesso per l’Altare di Pergamo. Si può dire che la loro presenza e funzione in grandi istituzioni  di paesi che – nel bene o nel male – hanno avuto un ruolo determinante nella cultura mondiale ha aiutato lo stesso formarsi di una nuova mentalità, in grado di superare il colonialismo. Se il mondo pensa in modo diverso, se oggi di fronte ai fregi di Fidia ci si domanda come mai non sono altrove, è perché il colonialismo ha fatto qualcosa che il nazionalismo non sempre sa fare.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"