È una novità che una mostra celebrativa non intenda esporre opere, gesta e – sigh – paraphernalia polverosi del celebrato, scegliendo invece di raccontarne l’essenza, seguendone le tracce che ha lasciato nelle generazioni successive, e favorendo dunque un approccio personale da parte del visitatore, non più costretto a seguire la didattica, ma accompagnato e stimolato a scovare sensazioni, ricordi propri e a formularne di nuovi. Che lo faccia attraverso una serie di artisti contemporanei di fama internazionale e di studiosi della parola, non necessariamente legati al festeggiato, è una scelta ancora più radicale. Bravi dunque la direttrice Donatella Brunazzi e il Museo Teatrale della Scala, veneranda istituzione dove in tanti abbiamo anche studiato, e bravi anche i vertici del teatro, non sempre sperimentalissimi, a respingere il solito approccio fotografie-costumi-vestitini di molte delle mostre previste per il centenario della nascita di Maria Callas in tutta Italia, ma in particolare a Milano, dove visse per buona parte degli anni Cinquanta e dove consolidò la propria ascesa, interpretando ventitré titoli d’opera in ventotto stagioni, fra cui sei inaugurazioni e l’ormai celeberrima “Traviata” con la regia di Luchino visconti del maggio del 1955, costumi di Lila De Nobili imprescindibili da allora ancorché andati subito misteriosamente perduti.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE