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cosa insegnare?

La filosofia intesa come “storia delle idee” è una risorsa per i giovani liceali

Alfonso Berardinelli

La filosofia come la troviamo nei manuali scolastici rischia di essere una specie centrifugato e omogeneizzato a cui manca il sapore delle vere opere filosofiche. Ma serve comunque insegnarla anche a costo di chiamarla storia delle idee

Sul mensile Una città (n. 296) leggo un’intervista a Massimo Mugnai, professore emerito della Scuola Normale di Pisa, sull’insegnamento della Filosofia, sui suoi attuali difetti e sull’eventuale modo di correggerli. Recente è la pubblicazione del libro di Mugnai “Come non insegnare filosofia” (il Mulino) e torna sul tema l’intervista rilasciata dall’autore a Jacopo Gardelli per Una città.

Vorrei dire qualcosa in proposito da lettore che ormai da anni legge più spesso e più volentieri libri di idee, filosofiche e non, che libri di narrativa, di poesia e di critica letteraria. Quest’ultima, devo dire, mi interessa soprattutto come una forma di filosofia morale applicata all’interpretazione di opere letterarie di particolare valore. Anche se non è propriamente, professionalmente filosofia, la critica letteraria si aggira nei dintorni della filosofia, in particolare dell’etica e dell’estetica.

Vedo che Mugnai prende di mira soprattutto i manuali di storia della filosofia che vanno dai Presocratici al Novecento e che, secondo lui, avrebbero il torto “storicistico” di abituare a non credere nella verità, perché la si relativizza storicamente: viene infatti progressivamente confutata e “superata” da chi viene dopo e “va oltre” nel corso dei secoli. Questo, dice Mugnai, non è un modo giusto di studiare filosofia, sia perché i filosofi presocratici sono difficilmente comprensibili e per capirli “bisogna sapere il greco antico”, sia perché fa credere necessario sapere qualcosa di generico su troppi autori secondari, cosa che impoverisce e banalizza l’insegnamento filosofico. Meglio, invece, limitarsi a leggere bene alcune opere fondamentali di grandi classici, cioè (questa la scelta di Mugnai) anzitutto Platone, Aristotele, Tommaso d’Aquino, Cartesio, Hume, Kant.

Credo anch’io che la filosofia come la troviamo nei manuali scolastici rischi spesso di essere una specie di cibo centrifugato e omogeneizzato a cui manca il sapore delle vere opere filosofiche, con il loro modo di scegliere i problemi da affrontare, il loro modo di argomentare e il linguaggio con cui farlo. Una storicizzazione coatta a scopi di semplicità didattica riduce il pensare filosoficamente a un pugno di concetti adoperati come uno spiedo per infilzare e tenere insieme un gran numero di filosofi senza mai assaggiarne lo stile.
C’è poi il problema preliminare di che cosa è filosofia e che cosa non lo è. Un eminente impostore filosofico come Martin Heidegger liquidò il suo critico Theodor Adorno definendolo altezzosamente “quel sociologo”, incapace di elevarsi alla purezza e qualità del pensare da filosofo. In questo modo possono essere cancellati Seneca, Montaigne, Leopardi, Kierkegaard, Marx, Simone Weil e chissà quanti altri. In filosofia esiste e occupa un posto centrale la logica; ma c’è anche la dialogica, procedimento nel quale ogni interrogativo e ogni discorso sono sottoposti a metodico esame.

Mugnai è uno studioso e docente universitario di Filosofia. Ma ci sono anche, molto più numerosi degli universitari, i professori di “storia e filosofia” che insegnano nella scuola media superiore. Non tutti gli studenti liceali (e universitari) a cui si insegna filosofia la studiano per specializzarsi in questo campo. Mugnai stesso confessa che da liceale tardò molto a capire che la filosofia era interessante. A me, che non mi sono laureato in Filosofia, la filosofia interessò subito e molto anche da adolescente perché leggendo per esempio Tolstoj mi chiedevo con lui “che cos’è l’arte” e “come vivere”. Ai miei tempi fra liceali si parlava spesso della fede in Dio, di come averla o rifiutarla, nonché di che cosa si dovrebbe fare per rendere più giusta e razionale la società, visto che giusta e razionale non era neppure la scuola. Non sono mai riuscito a separare troppo letteratura e filosofia quando ero all’università, e fra i corsi che mi appassionarono di più ci fu quello di Guido Calogero sulla dialettica e i due modi di intenderla, dai Presocratici a Platone, a Hegel.

Dico questo perché credo che in Italia facciamo bene a prescrivere sia nei licei sia all’università lo studio della filosofia, purché si sappia far capire che tutti abbiamo a che fare con le idee che circolano nella vita sociale e nel senso comune a proposito di vari problemi: morali e politici, pubblici e privati, religiosi, economici, scientifici, tecnologici, sessuali, artistici, educativi… Credo che potrebbe essere utile chiamare “storia delle idee” l’insegnamento non specialistico della filosofia. La cosa che mi lascia più perplesso nei filosofi al quadrato e al cubo per i quali i più importanti filosofi del Novecento sono stati Heidegger e Wittgenstein, è il fatto che si vuole distinguere rigorosamente il pensare del vero filosofo dal pensare del non filosofo. I due filosofi che ho citato non mi sembra che abbiano capito molto né di sé stessi, né di quello che accadeva nel mondo in cui sono vissuti. Nel breve elenco di classici scelti da Mugnai, il più recente a essere consigliato è Kant. Davvero non c’è niente nell’Ottocento e nel Novecento che sia stato filosoficamente rilevante? Dopo il Settecento non è successo niente che abbia spinto o costretto noi umani a pensare? 

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