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L'esposizione

Nella terra degli Estensi, come fare un grande museo pensando al futuro

Maurizio Crippa

Otto anni di riforma tra idee, digitalizzazione e “visitatore al centro”. Parla la direttrice delle Gallerie Estensi Martina Bagnoli

Pronunciare la parola “gioiello” per una reggia o un palazzo di delizia della incomparabile provincia italiana è come aprire, più che uno scrigno, il vaso di Pandora: tanti sono, e uno più prezioso dell’altro. Ma il Palazzo Ducale di Sassuolo, “una delle più importanti residenze barocche dell’Italia settentrionale” la denominazione di gioiello se la merita tutta. E ancora più adesso, poiché proprio oggi dopo un grande lavoro di recupero e ri-allestimento riapre al pubblico un’intera ala della sontuosa dimora degli Estensi sulle rive del Secchia voluta da Francesco I, la spettacolare zona detta dell’Appartamento di Orlando. E chi avrà il piacere di visitarla comprenderà perché, a partire dal Settecento, il Palazzo di Sassuolo era divenuto una tappa obbligata del “grand tour” dei rampolli dell’aristocrazia europea in viaggio verso Roma. E si comprende anche perché Martina Bagnoli, direttrice per otto anni delle Gallerie Estensi – il Polo museale nato con la riforma Franceschini e che comprende le Gallerie Estensi di Modena con la preziosissima Biblioteca Estense, i cui preziosi codici sono stati interamente digitalizzati nel 2020, il Palazzo Ducale di Sassuolo e anche, fino a ieri, la Pinacoteca di Ferrara – sia particolarmente soddisfatta di chiudere il suo doppio mandato aggiungendo un pezzo pregiatissimo al grande museo nazionale e “diffuso” che ha contribuito ad allestire e indirizzare.
 

Concludere un lavoro ben fatto, aver contribuito a realizzare quello che era il mandato del proprio incarico – lo sviluppo di un museo nazionale autonomo e di primo livello su un territorio ricco di arte ma da valorizzare –, la soddisfazione di lasciare un luogo di cultura meglio di come lo si era trovato: sono le cose che contano di più per la direttrice. E’ il momento di un bilancio ovviamente non perfetto, ma dove prevale il segno positivo: “E’ stato un periodo bello ed esaltante”, racconta al Foglio Martina Bagnoli, “all’inizio i musei non erano strutturati, se non in minima parte, per una offerta culturale complessiva al pubblico, prevaleva la logica di conservazione; il senso del nostro lavoro è stato quello di mettere al centro dell’esperienza museale il visitatore, e non il sovrintendente”. Missione compiuta, e ancora non è così facile tenere il punto in un paese in cui prevale una cultura del museo soprattutto conservativa. Il cambio di mentalità e di prospettiva è ancora materia fluida e sottoposta a necessarie verifiche. 
Ma è questo l’essenziale di un lavoro che ha coinvolto innanzitutto la sede di Modena, oggi davvero un museo di rango nazionale, premiato anche dai visitatori. La lunga facciata austera di mattoni rossi è già un invito a capire che storia e valorizzazione devono andare di pari passo. Era nata per il Grande Albergo dei Poveri, quando a metà Settecento i principi più illuminati s’industriavano in riforme sociali; poi il palazzo si era ingrandito e trasformato in Albergo delle Arti fino a diventare, dopo l’Unità d’Italia, la sede dei Musei Estensi. Il bel Palazzo dei Musei color cotto nel cuore di Modena l’aria austera l’ha conservata, ma da alcuni anni è diventato un luogo pieno di iniziative e in continua trasformazione. Dinamico, proprio come la padrona di casa pro tempore, ancora per poco tempo, Martina Bagnoli. Che, oltre al riallestimento di Sassuolo, sta dando gli ultimi ritocchi ai preparativi della sua ultima grande mostra, “Ter Brugghen. Dall’Olanda all’Italia sulle orme di Caravaggio”, la prima grande mostra italiana dedicata al pittore olandese Hendrick ter Brugghen (1588-1629) che ripercorre lo straordinario soggiorno dell’artista nel nostro paese, finora non approfondito. Nessuna frenesia o agitazione, non si preparano gli scatoloni – Martina Bagnoli ha già deciso da tempo la sua nuova destinazione, che sarà nel circuito dei musei privati: dal prossimo febbraio all’Accademia Carrara di Bergamo – una nuova sfida ma certo anche una perdita per i musei nazionali.

Per un pezzo che si aggiunge, a Sassuolo, quasi a completare simbolicamente la ricchezza di questo museo diffuso in ben tre città, c’è però un pezzo del Polo museale estense che invece se ne va. E lo ha ribadito, o rivendicato, proprio ieri Vittorio Sgarbi, in collegamento con Sassuolo: nel recente dpcm presentato a fine luglio dal ministro Sangiuliano per la “riorganizzazione dei musei statali italiani”, la Pinacoteca nazionale di Ferrara, fino ad ora parte del polo delle Gallerie Estensi diventerà un museo autonomo assieme a Palazzo dei Diamanti. Un’evoluzione intesa a rafforzare l’autonomia e il prestigio di una città d’arte come Ferrara, e fortemente caldeggiata proprio da Sgarbi. Martina Bagnoli non commenta, lascia all’interlocutore l’interrogativo su una scelta organizzativa che sembra sminuire un museo di grande dimensione, e proprio mentre altri vengono accorpati (l’Accademia e il Bargello a Firenze). Ma non sono certo questi aspetti di carattere organizzativo a decidere la qualità del nostro sistema dei musei. Quello che è stato decisivo per la buona riuscita della riforma del 2015, e che conterà nel futuro, è innanzitutto la concezione di autonomia: “Ciò che è stato importante nel lavoro qui – e ovviamente in tutti gli altri musei partiti con l’autonomia – è stata la sfida di costruire un profilo nuovo per i musei. Ad esempio qui alle Gallerie Estensi, che comprendono anche la Biblioteca e il Museo Lapidario, è stato saper connettere arte antica e contemporaneità, evitando però di schiacciarsi sul presentismo, l’ansia di sembrare genericamente attuali”. Eppure le innovazioni sono state molte, e il complicato periodo del Covid ha dato una spinta decisiva: “La programmazione online, i supporti digitali, il canale YouTube, i social media: sono una componente essenziale ormai per ogni museo, proprio per ‘mettere al centro’ il visitatore”, spiega. Così come il riallestimento delle sale, la grande operazione della digitalizzazione della Biblioteca, che ora rende disponibile, catalogato e con schede bibliografiche accessibili e interattive, il patrimonio di una delle più ricche biblioteche antiche italiane. O l’attività delle esposizioni permanenti. “Credo che dobbiamo pensare in modo complessivo, e non solo di musei. Ad esempio il lavoro della Digital Library, la digitalizzazione di tutto il patrimonio culturale, è un aspetto essenziale per il nostro paese. Così come la connessione con le scuole, le università, il territorio. Il valore contemporaneo di grande museo nazionale è anche la sua apertura esterna. Conservazione, tutela, valorizzazione, apertura: non sono contrapposti, questo è il lavoro che abbiamo fatto. Non solo io, ovviamente, ma con uno staff davvero eccellente”. 

Ma non c’è soltanto questo nel bilancio di questo anni. Spiega Bagnoli: “Bisogna dire, anche per chi avrà il compito di proseguire il nostro lavoro, che la riforma per come era stata pensata non è ancora completa”. Che cosa manca? “Non è stata raggiunta pienamente l’autonomia. Che è, ad esempio, il fondamentale punto di poter scegliere autonomamente il proprio personale. Invece il sistema di reclutamento è ancora antiquato, esattamente come accade nella scuola o nella pubblica amministrazione. Ma un museo ha bisogno di ‘quel’ profilo, in ‘quel’ luogo, e in ‘quel’ momento”. Che cosa serve oggi per fare un museo? Uno storico dell’arte? Un critico? “E’ ancora un miraggio: parliamo di manager culturali, ma è un profilo troppo vago. C’è un tema di competenze che si sommano, non può essere un puro specialismo: deve essere il manager, lo specialista di bilanci, l’esperto di restuari… Ma è un lavoro che si impara sul campo, io sono molto grata di aver potuto fare questa esperienza. Però, per il futuro, e per tutti, serve un salto di professionalità: sia per le figure più tecniche che per quelle dirigenziali. Faccio un esempio: all’estero, per istituzioni come queste, si usano i cacciatori di teste, si dà un’indicazione precisa sui profili utili e si selezionano su questa base: poi chi ha la responsabilità sceglie, ma con un lavoro fatto a monte. E’ un lavoro affascinante e complesso, serve la libertà e la fiducia di poterlo fare bene”.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"