Cormac McCarthy alla prima del film “La strada” di John Hillcoat, tratto dal suo romanzo (LaPresse) 

Il Vangelo oscuro di Cormac McCarthy

Giulio Meotti


Col più grande cattivo della storia della letteratura, l'autore appena scomparso ci mostra cosa accade a una civiltà in cui “Dio ha fatto l’uomo con il diavolo accanto” 

L’autentico romanzo americano apocalittico”. “Nessun altro romanziere americano vivente ci ha regalato un libro così possente e memorabile”. “Il giudice Holden è la figura più spaventosa di tutta la letteratura americana”. “Un cattivo degno di Shakespeare, simile a Iago, demoniaco, teorico della guerra perpetua”. “Il giudice Holden non sarà dimenticato negli anni a venire”.

  

Nicciano e ultra darwiniano, Holden ricorda il “Mr. Kurz” di Conrad e il Grande Inquisitore dei “Fratelli Karamazov”

  
Così scriveva Harold Bloom, estensore del “Canone occidentale”, sul libro che Cormac McCarthy ha impiegato dieci anni a scrivere. Si tratta di “Meridiano di sangue”. Il romanziere, scomparso la scorsa settimana a 89 anni, si trasferì nel sud-ovest americano a metà degli anni 70 per scriverlo. Poi fu salutato come il suo capolavoro, ma all’uscita ha venduto meno di duemila copie e la maggior parte della prima edizione è rimasta nei magazzini. Ci sono voluti dieci anni prima che i lettori iniziassero ad apprezzare la grandezza di quest’opera. La trama è semplice. Un adolescente in fuga, “il ragazzo”, si dirige a ovest e si unisce alla banda di Glanton, cacciatori di scalpi. Passano di deserto in deserto commettendo indicibili atti di violenza e orrore. Un uomo morente emette “un ululato di tale oltraggio da ricucire una cesura nel battito del mondo”.

  
Nessuno si comporta come se esistesse un ordine morale, sociale, o delle convenzioni saldamente accettate. Immane e grande è solo la natura. L’universo di Cormac McCarthy è fatto di questo spaventoso conflitto fra la grandezza del mondo e la creaturalità barbara o indifesa di chi la abita. I suoi personaggi si scambiano informazioni proprio come fossero sulla soglia di un incubo anche quando domandano che direzione prendere.


Il libero arbitrio e il destino si scontrano in un conflitto irrisolvibile in un paesaggio senza Dio (“Diavolo, in Messico non c’è Dio”). “Quando Dio ha fatto l’uomo doveva avere il diavolo accanto. Una creatura che sa fare tutto. Sa fare una macchina. E una macchina per fare la macchina. E tanto male che può andare avanti da solo per mille anni, senza manutenzione”.

  

Il giudice se ne va in giro catalogando tutto, dai reperti alle piante, icona scientista che annuncia: “La guerra è Dio”

  
Poi entra in scena il giudice Holden, che sembra sapere tutto, maestro di civiltà europea: musica, botanica, lingue, letteratura, scienza. Enorme, glabro, con la testa titanica e calva, nicciano e ultra darwiniano, Holden ricorda il “Mr. Kurtz” di Joseph Conrad e il Grande Inquisitore dei “Fratelli Karamazov”.
“Meridiano di sangue” non è un “Western” (guardacaso Bobby Western è il protagonista del “Passeggero”), ma parla del “West”, il nostro. Holden è il ritratto della civiltà occidentale che annuncia la morte di Dio: “Il mistero è che non c’è nessun mistero”, dice il giudice. Prefigura  un mondo di pura volontà di potenza e sottomissione all’uomo. “Che gli dèi della vendetta e della compassione dormano nella loro cripta, e che le nostre grida, sia che invochino un rendiconto sia al contrario la distruzione dei libri mastri, debbano avere come risposta solo lo stesso silenzio, e che questo silenzio sia ciò che prevarrà”.


McCarthy ci presenta così il giudice (ma poi giudice di cosa? Della vita?): “Era seduto a uno dei tavoli. Portava un cappello rotondo a tesa stretta ed era circondato da uomini di tutti i generi, pastori e mandriani e mercanti di bestiame e spedizionieri e minatori e cacciatori e soldati e venditori ambulanti e giocatori di professione e vagabondi e ubriaconi e ladri, ed era circondato dalla feccia della terra in miseria da mille anni, ed era circondato dai rampolli scapestrati di dinastie della costa orientale, e sedeva sì in mezzo a quell’accozzaglia di gente, ma al tempo stesso era solo, quasi appartenesse a un’altra specie, e sembrava cambiato poco o nulla in tutti quegli anni”.


Holden se ne va in giro catalogando tutto e prendendo appunti in un enorme quaderno. “A quanto dicevano le vedette, il giudice era stato in piedi tutta la notte. A guardare i pipistrelli. Saliva sul fianco della montagna e prendeva appunti in un quaderno, poi tornava giù. Non avrebbe potuto essere più allegro. Il giudice si fermava per fare i suoi studi di botanica, poi ci raggiungeva. Lo giuro davanti a Dio. Infilava le foglie dentro il quaderno. Non avevo mai visto una cosa del genere”. Rovesciò a terra il contenuto di un pezzo di tela di carro e cominciò a suddividere i reperti e a ordinarli davanti a sé. “In grembo teneva il grosso quaderno ricoperto di pelle e sollevava ogni esemplare, fosse pietra o coccio o utensile o osso, per disegnarlo abilmente sulla pagina”.


Si parla di guerra. “La Bibbia dice che colui che vive di spada perirà di spada, disse il nero. Il giudice sorrise, la faccia lucida di unto. Quale uomo giusto la penserebbe diversamente? disse”. “Ciò che gli uomini pensano della guerra non ha importanza. La guerra perdura nel tempo. Tanto varrebbe chiedere agli uomini cosa pensano della pietra. La guerra c’è sempre stata. Prima che nascesse l’uomo, la guerra lo aspettava. Il mestiere per eccellenza attendeva il suo professionista per eccellenza. Così era e così sarà. Così e non diversamente”. “La guerra perdura perché i giovani la amano e i vecchi la amano nei giovani. Quelli che hanno combattuto e quelli che non hanno combattuto”. Questo lo dite voi, rispose il nero. “Il giudice sorrise. Gli uomini sono nati per giocare. Nient’altro. Tutti i bambini sanno che il gioco è più nobile del lavoro. Sanno anche che il valore o merito di un gioco non sta nel gioco stesso, ma piuttosto nel valore di ciò che è messo in gioco. I giochi d’azzardo richiedono una posta per avere senso. I giochi sportivi coinvolgono l’abilità e la forza dei contendenti, e l’umiliazione della sconfitta e l’orgoglio della vittoria sono di per sé una posta sufficiente poiché pertengono al valore degli antagonisti e li definiscono. Ma, sia questione d’azzardo o di valore, tutti i giochi aspirano alla condizione di guerra, perché in essa la posta inghiotte gioco, giocatore, tutto quanto”.


Supponiamo che due uomini giochino a carte non avendo niente da puntare se non la propria vita. “Chi non ha mai sentito una storia del genere? Una carta viene girata. Per il giocatore l’intero universo si riversa fragorosamente in quell’istante, che gli dirà se gli tocca di morire per mano di quell’uomo o se toccherà a quell’uomo morire per mano sua. Quale ratifica del valore di un uomo potrebbe essere più sicura di questa? Spingere il gioco alla sua condizione estrema non ammette alcuna discussione concernente la nozione di fato. La selezione di un uomo a danno di un altro è una preferenza assoluta e irrevocabile, ed è davvero ottuso l’uomo che considera una decisione così profonda priva di un agente o di un significato. In giochi del genere, in cui la posta è l’annichilimento dello sconfitto, le decisioni sono del tutto trasparenti. L’uomo che tiene in mano una particolare combinazione di carte è in forza di ciò rimosso dall’esistenza”. E conclude: “La guerra è la forma più attendibile di divinazione. E la verifica della propria volontà e della volontà di un altro, all’interno di quella più ampia volontà che è costretta a compiere una selezione proprio perché li lega insieme. La guerra è il gioco per eccellenza perché la guerra è in ultima analisi un’effrazione dell’unità dell’esistenza. La guerra è dio”.


Holden si riferisce alla scienza? “Qualunque cosa esista nella creazione senza che io la conosca esiste senza il mio consenso. Si guardò intorno nella foresta scura dove bivaccavano. Accennò col capo agli esemplari che aveva collezionato. Queste creature anonime possono sembrare poco o niente nel mondo. Eppure l’esserino più piccolo può divorarci. Qualunque minuscola creatura stia sotto quella roccia, al di fuori della conoscenza umana. Solo la natura può rendere schiavo l’uomo, e solo quando l’esistenza di ciascun essere sarà stata snidata e denudata di fronte a lui, egli sarà davvero il sovrano feudale della terra”.
Vediamo lo scavo di buche nel deserto, “una convalida della sequenza e della causalità come se ogni buco rotondo e perfetto dovesse la sua esistenza a quello precedente”, ponendo le basi per l’inquadratura di vaste pianure con il filo spinato. Il buio fuori, titolo che McCarthy ha ripreso dal Nuovo Testamento, Vangelo di Matteo, capitolo 8, versetto 11. “I figli del regno saranno gettati nella tenebra, di fuori, e lì sarà pianto e denti che digrignano”.


E così, dal giudice che è una specie di semidio più satanico di Satana e che cerca di impossessarsi dei poteri del Creatore, si arriva, decenni dopo, al lascito di  McCarthy: “Il passeggero” (Einaudi).


Alicia è un prodigio della matematica e una schizofrenica. I genitori di Bobby e Alicia hanno lavorato al Progetto Manhattan e i due fratelli è come se fossero schegge della bomba, sono malati. L’angoscia mentale che i due provano sembrano plausibilmente attribuibili non solo alla loro genialità ma anche all’influenza contagiosa del materiale nucleare con cui i loro genitori hanno sperimentato. Scrive Will Cathcart: “Bobby e Alicia sono entrambi vivi e morti. La scienza salverà la civiltà umana e la distruggerà”.


I fratelli sono coinvolti in una relazione incestuosa non consumata che li porta al disordine esistenziale e a diversi gradi di follia. Al di là delle malattie spirituali e psicologiche di Bobby e Alicia, ci sono indicazioni che qualcosa non va nella società in senso più ampio. La dilogia  di McCarthy (al “Passeggero” segue “Stella Maris”) poggia su speculazioni filosofiche che vanno dall’Oswald Spengler del “Tramonto dell’Occidente” a Gödel e Wittgenstein. Emerge il McCarthy trustee al Santa Fe Institute che nel 2017 ha pubblicato il suo unico saggio, “The Kekulé Problem”, dedicato all’origine del linguaggio.


Alicia, figlia spirituale del giudice Holden, sembra pensare che la vita morale o interiore possa essere compresa dal punto di vista della fisica e della matematica. Vede un ordine nell’universo fisico e ne è intellettualmente incuriosita, ma non riesce a trovare alcun ordine o significato nell’esistenza umana. Bobby e Alicia sono disorientati. Incapaci di trovare il percorso morale come fa il padre de “La strada”. Il loro disorientamento è in gran parte dovuto alla loro incapacità di superare i desideri incestuosi. Né Bobby né Alicia sono disposti a controllare il loro appetito perverso. Invece, lo lasciano marcire e lo alimentano attraverso l’immaginazione. Le loro vite degenerano nella follia di Macbeth e scompaiono.

  

“Quello che volevo veramente era un bambino. Se avessi un figlio, ne ascolterei il respiro. Se avessi un figlio non mi importerebbe della realtà”

  
Alicia voleva un figlio, voleva essere madre. In uno dei momenti più sorprendenti di “Stella Maris”, Alicia spiega al suo psichiatra: “Quello che volevo veramente era un bambino. Se avessi un figlio, ne ascolterei il respiro. Se avessi un figlio non mi importerebbe della realtà”. Invece la vediamo cullare il violino Amati da 200 mila dollari che ha acquistato con i soldi dell’eredità di sua nonna. “Era la cosa più bella che avessi mai visto e non riuscivo a capire come potesse essere possibile una cosa del genere”, dice tra le lacrime.

  

“Non c’è mai stato un secolo così cupo come questo”, dice Alicia del “Passeggero”, figlia spirituale del giudice di “Meridiano di sangue”

  
Sembra, alla fine della sua vita, che McCarthy non fosse più felice di contemplare i segreti scientifici dell’universo in compagnia degli scienziati del Santa Fe Institute. “Non c’è mai stato un secolo così cupo come questo”, dice Alicia. E confessa al dottor Cohen di aver avuto una visione. “Ho visto attraverso qualcosa come un buco di Giuda in questo mondo dove c’erano sentinelle in piedi a un cancello e sapevo che oltre il cancello c’era qualcosa di terribile e che aveva potere su di me.”


Fratello e sorella, ragione e follia, distruzione e progresso, fede e ateismo, giudice e giudicati, Dio e Diavolo, materia e metafisica. McCarthy ci ha raccontato un mondo che dopo essere stato abbandonato da Dio è stato offerto in affitto al demonio.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.