
Amore immortale
Il romanzo di Langone su un sentimento eterno, come la bellezza dipinta su tela
Non potendo magicamente insufflare l’immortalità nella ragazza, il protagonista ricorre alla pittura, che ha il pregio di garantire vita non solo interminabile ma anche plurale
Un romanzo d’amore ambientato a Mantova, come ai tempi felici in cui l’amore esisteva ancora e non si era trasformato in una continua, estenuante colluttazione per la supremazia della propria identità sull’altrui. Un romanzo che non ha bisogno di darsi un tono mettendoci dentro Roma o Milano, o Roma e Milano, sempre e solo Roma-Milano manco fosse un Frecciarossa, ma a cui basta tutt’al più una spolverata di Bologna e tantissimi tragitti in Maserati. Un romanzo liscio e piano che contiene la morte e la sofferenza ma non le sbandiera come patente di credibilità (difatti non è nella cinquina dello Strega), anzi le soffoca finché può di gioia, di bellezza e di vita.
Per questo “La ragazza immortale” di Camillo Langone (La Nave di Teseo) si apre sulle parole d’amore più belle, forse le uniche possibili: “Non voglio che muoia”. Costituiscono il precipitato del sentimento più forte, il nocciolo universale che permane una volta sceverato dalle peripezie e dai patemi che tutti noi abbiamo conosciuto; sono inoltre il movente che spinge l’anonimo protagonista e narratore a portare la sua giovane amata dai più bravi pittori italiani, da Robusti a Mannelli, per farla eternare in ritratti che non muoiano né invecchino.
Nel romanzo viene citato Vittorio Sgarbi, ove dice che la fotografia rappresenta la morte ma la pittura rappresenta la vita. E’ vero: le innumerevoli nostre foto che autopubblichiamo, sorridenti e filtrate, sono indistinguibili da quelle cui i quotidiani attingono quando c’è da illustrare la cronaca nera; sulle lapidi nei cimiteri, innumerevoli istantanee ci ricordano che l’istante è irrimediabilmente passato. Provate invece a trovare morti, che so, Carlo V lancia in resta nel ritratto di Tiziano, le ballerine di Degas, l’anonimo pelame di Courbet. Vi sembra morta, la Gioconda?
L’amore, in fondo, è un desiderio di infinità: si vuole che la vita dell’altro duri per sempre, e che la sua invulnerabilità non trovi limite. Non potendo magicamente insufflare l’immortalità nella ragazza, il protagonista ricorre alla pittura, che ha il pregio di garantire vita non solo interminabile ma anche plurale; cita infatti Karl Kraus, ove dice che in ogni ritratto l’importante è che si riconosca bene l’artista. La ragazza dipinta da Robusti sarà diversa dalla ragazza dipinta da Mannelli, da quella dipinta da Gasparro e così via, di modo tale che alla fine l’immortalità della ragazza si squaderni su una quantità di immagini diverse, tutte giovani, tutte bellissime, tutte destinate a durare quando sul corpo bellezza e gioventù saranno sparite. Sarà il segno tangibile che l’amore del committente non tramonta. Forse per questo – apprendo dal libro – nel Seicento il cardinale Flavio Chigi aveva commissionato, per rimirarseli, i ritratti delle trentasei donne più belle di Roma. Solo un moralista micragnoso può vederci un atto di lubrico egoismo.
“Ma allora anche le ragazze giovanissime e bellissime si ammalano?”: lo sgomento dietro questa frase, che sfugge al protagonista per un accidente alfine secondario che occorre alla ragazza, è il corollario del desiderio di infinità che caratterizza l’amore. Testimonia lo spostamento di baricentro imposto dal sentimento, quel monologo ininterrotto in cui – come nel romanzo – c’è uno che parla e un’altra persona che viene osservata con cura. Alla fine la prospettiva si ribalta, con la ragazza che prende la parola alla penultima pagina, e si scopre (spoiler) che a morire è l’uomo, l’anonimo amante che più di ogni cosa temeva la morte di lei. L’amore però compie un miracolo. Se, come lui, si ama, allora si vuole lasciare traccia perpetua dell’amore; se questa traccia resta, in fondo la morte non conta, perché il committente continuerà a vivere fino a che ci sarà qualcuno che guarderà i dipinti, e il suo amore durerà tanto quanto la bellezza e la gioventù della ragazza immortale su tela. A leggere Langone sembra tutto così semplice. E invece.