Vissariòn il Furioso: veniva soprannominato così il giovane Belinskij, ventitreenne autore di quelle “Memorie letterarie” che, nel 1834, inaugurarono il giornalismo intellettuale in Russia. Stile caustico e pugnace da impetuoso rompicoglioni, Belinskij era uno sfrontato di prima grandezza, un veemente, un audace sostenitore delle nuove generazioni e di quel rinnovamento radicale di cui era convinto che il mondo letterario e civile russo avesse disperato bisogno. Animatore degli occidentalisti, grande cavaliere di una letteratura moderna e progressista, di fatto Belinskij scriveva come un cane, con prolissità e sciattezza, ma fu sempre sincero e innegabilmente coerente nel tener fermi i princìpi della propria visione letteraria, e pazienza se oggi risulti superata o perfino inaccettabile – D. P. Mirskij, nella sua “Storia della Letteratura russa”, ne sintetizza così gli aspetti meno pregevoli: “La prurigine dell’esprimere idee e il dilagare dei luoghi comuni della critica romantica”.
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