facce dispari

Andrea Di Ciancio, le notti della radio senza filtri

Francesco Palmieri

Com'è parlare agli insonni (tra cui molte vedove) e da chi è rappresentato il popolo della notte. Dove stanno andando i podcast e perché molti preferiscono ascoltare piuttosto che vedere. Intervista al conduttore dei "Lunatici", in onda su Rai Radio 2

Voce ’e notte: c’è sempre quella della radio quando nessun’altra c’è. Conquista il posto d’infilata, tra la compulsiva interattività di internet e l’invadenza di una tv nel buio; vince perché puoi ascoltarla guidando, sentirla e non sentirla se sei di turno al lavoro; oppure se la tieni accanto al letto indovinando il livello del volume – percettibile però felpato – quando non puoi dormire e sospetti con paura di essere entrato pure tu nella “setta degli insonni”, di cui fanno parte, dice Titta Di Girolamo ne “Le conseguenze dell’amore”, “uomini e donne di tutte le estrazioni sociali, di tutte le età, razze e religioni”.

Andrea Di Ciancio, quarantun anni, romano di Casal Bertone, giovanile passione per Kant, attuale propensione per il giardinaggio e la falegnameria, lettura preferita Stephen King, conduce da cinque anni assieme a Roberto Arduini “I Lunatici” su Rai Radio 2, trasmissione a beneficio delle categorie suddette e forse di qualcuna in più.

Chi c’è tra i lunatici?

Un variegato mondo dai 14 ai 99 anni d’età dove trovi chi ti aspetti: guardie giurate, camionisti, panificatori, lavoratori dei locali notturni, ma anche architetti che amano disegnare di notte, medici in reperibilità e infine sì, gli insonni. E sa qual è, per esperienza, una causa assai diffusa d’insonnia? La perdita del compagno: fra le vedove e i vedovi sono tanti che non riescono a dormire bene per mesi o anni. Siamo la compagnia delle loro notti difficili.

Il programma è aperto alle telefonate e ai whatsapp: quanta scaletta e quanta improvvisazione?

La forza dei “Lunatici” è che da un momento all’altro può accadere qualsiasi cosa. Noi lanciamo uno spunto ma non ci sono filtri, escludiamo solo la rissa, evitando questioni molto divisive come il calcio e la politica. Per il resto, una telefonata può dettare il corso della trasmissione quando le si agganciano gli interventi di altri ascoltatori. Il nostro è il bar notturno più grande d’Italia.

Un esempio fresco?

Una signora di 84 anni, che dopo una vita vessata dagli uomini ci ha raccontato di alternare due amanti, uno di 50 e l’altro di 30 anni, senza implicazioni sentimentali. Chiaramente la telefonata ha fornito argomento per tutta la notte.

Da dove vi chiamano?

L’ascolto è eterogeneo anche per distribuzione geografica. E grazie al fuso orario abbiamo anche ascoltatori diurni, dal Giappone all’America all’Australia. Quasi tutti connazionali ma non solo: un brasiliano ci ha scritto che sta imparando l’italiano con noi.  

Le maggiori emozioni?

L’ascolto in diretta da una sala parto del primo vagito di un neonato; l’acquisizione di un’ascoltatrice che cominciava a seguirci perché così faceva la mamma, che intanto se n’era andata; l’alluvione delle Marche a settembre scorso, quando il programma è diventato una cronaca perché c’era gente sul posto che ci telefonava per raccontare cosa stava accadendo. La pelle d’oca…

La notte più buia?

Quella durante la pandemia che seguì alla preghiera solitaria del Papa in piazza San Pietro. Arrivarono tante telefonate così cariche di angoscia e di disperazione che rincasando all’alba io e Roberto ci mettemmo a piangere.

Ora che avete anche la finestra video, non è tentato di passare alla televisione?

A me interessa il mondo della radio, che comunque è stata una palestra per grandi conduttori tv: da Corrado ad Amadeus. Adesso c’è la tendenza contraria, dalla tv alla radio, oppure quella di trasferire in radio gli influencer sperando che si portino dietro i follower. Spesso è una delusione, sia perché chi segue le dirette Instagram non si sposta da lì, sia perché non tutti gli influencer sanno fare radio.

Qual è la chiave per un programma riuscito?

La capacità d’improvvisazione. Oggi c’è un eccesso di lavoro autoriale, un copione rigido dove anche l’imprevisto è costruito escludendo la possibilità della sorpresa, di quel momento di imbarazzo che però ti permette di uscirne creando spettacolo. Perciò il pubblico, negli ultimi anni, si è abituato a un ascolto più passivo e distante. Si chiede di interagire coi messaggi, ma poi nemmeno si leggono. Con “I Lunatici” cerchiamo di mettere davvero i social al servizio della radio, per esempio citando i tweet. Difatti ogni notte entriamo in tendenza con l’hashtag della trasmissione.

I suoi programmi preferiti?

“La Zanzara” e “Il Ruggito del Coniglio”, che mi tenne compagnia durante tutti gli anni di università.

La diffusione dei podcast e di altre modalità di ascolto toglie o mette alla radio?

Stiamo attraversando un periodo in cui la quantità dei contenuti è enorme e la qualità si trova con maggior difficoltà, ma confido che sia la transizione verso un prossimo bilanciamento.

Come si vive con i bioritmi rovesciati?

Andiamo in onda da settembre a luglio, da mezzanotte alle quattro, ma i primi due anni chiudevamo alle sei. Abituarsi fu duro: terminata la prima stagione pesavo 15 chili in più, cercando di dormire con un figlio piccolo e nella speranza che il vicino di casa non facesse chiasso al mattino. Però col tempo un equilibrio si trova.

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