Il ricordo

In morte di Aldo Canovari, italiano serio e ribelle ossessionato dal garantismo

Giuliano Ferrara

La sua casa editrice Liberilibri ospitò i difensori dell’indifendibile. Pannelliano di fatto e di scelta, fu uomo non convenzionale: incarnò il mito della libertà fino a farne un parossismo severo e euforico

Aldo Canovari era un italiano speciale di quelli che “vivono e lavorano a Macerata”. Per burlarsi con leggerezza della provincia apparentemente assopita, e in realtà vivace e forte nella umile Italia appenninica, Ennio Flaiano ironizzò con un celebre aforisma: “C’è gente che vive e lavora a Macerata”. Lì era nato nel 1946 questo straordinario personaggio, amato e seguito con fervore ma con grande discrezione da vagonate di amici e ammiratori; aveva ereditato lo status di medio imprenditore locale dal padre, titolare di imprese nell’Automotive, e poi impiegato una fortuna, con buoni esiti, nel campo del metano. Non era soddisfatto di fare del denaro, voleva spenderlo bene, con impegno e piacere civile.

  

Così andò la sua vita di curioso e di lucido fondatore dell’editrice Liberilibri, la prima vera e unica casa culturale dei libertari, piccola minoranza attiva devota alla difesa dell’indifendibile, come reca il titolo, “Difendere l’indifendibile”, del libro di Walter Block pubblicato nel 1995 e molte volte ristampato con successo. Imparare che perfino contro il porco maschilista, il poliziotto corrotto, lo speculatore e altre figure nere possono essere esercitate, come disse Aldo Busi, “perversioni di fondo di chi punta il dito sulle perversioni di superficie altrui”, bè, era per lui essenziale. Von Hayek aveva scritto all’Autore che la sua “medicina troppo forte”, il diritto del male a una difesa contro i pregiudizi di maggioranza, essenza del libertarismo, sarebbe stata assunta con buoni effetti “anche da persone che la odieranno”.

   

Un anno prima Canovari, sempre alla ricerca di cose non scontate, dall’alto prezzo politico e morale, aveva pubblicato la requisitoria di Daniel Soulez Larivière contro “Il circo mediatico-giudiziario”, e il 1992, ventiquattro mesi prima dell’uscita del pamphlet, era stato l’anno del calcio di inizio del giustizialismo italiano. Aldo Canovari aveva due principali ossessioni razionali: la rivolta liberista contro l’esproprio fiscale della sovranità dell’individuo e il garantismo giuridico più radicale, assoluto, pannelliano di fatto e di scelta. Si può dire che fu un gentiluomo anarco-insurrezionalista, pacifico ma a suo modo furioso ogni volta che sentiva necessario emancipare l’individuo dalla pressione indebita della società e dello stato facendone un cittadino diverso dal fruitore di servizi che spesso rendono servi. Ha scritto in proprio, prima della malattia, una Sla insorta nel 2015, e anche nei primi tempi del disastro, invettive e proposte da rivoluzione civile che ospitammo qui con un piacere perverso e allegro.

  

Chi lo visitò deferente ancora nel 2019 poteva scambiare con Aldo una conversazione tecnicamente faticosa ma a suo modo fastosa e illuminante; negli ultimi mesi era costretto al puntatore oculare per comunicare e, per vidimare e integrare le scelte editoriali di Serena Sileoni e Michele Silenzi, si faceva leggere i testi disteso su un letto di vera sofferenza progressiva, in una stanza luminosa tra gli alberi della bella campagna marchigiana. Ogni tanto si faceva trasportare dalla Croce verde a qualche mostra che divorava con occhi curiosi e mente lucida, lucida fino al termine della sua notte. Lo si ricorda alle prime riunioni di fondazione del Foglio in via del Cancello, nel centro di Roma, quando esprimeva le sue doti amicali, della novità e dell’intrapresa libera parlando dell’impostazione del giornale e suggerendo miglioramenti grafici al layout mutuato dal Wall Street Journal. Era editore fino alla cima dei capelli, italiano serio e ribelle, uomo non convenzionale e ardito fino a fare del mito della libertà un parossismo severo e insieme euforico, uno scudo di Achille pronto al combattimento in ogni circostanza.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.