Dalla rete alla realtà

Chi è Pera Toons, fumettista, tiktoker, fenomeno editoriale dell'anno

Marianna Rizzini

"È dalla noia, direi da una noia che diventa terapeutica, che nascono le idee migliori, peccato che oggi abbiamo troppo poco tempo per annoiarci", ci dice Alessandro Perugini

Questa storia è una storia che non ha un vero inizio, o meglio ne ha tanti. Può partire da Arezzo, la città di Pera Toons, in arte Alessandro Perugini, in origine grafico pubblicitario, poi fumettista dentro e fuori dal web (300 mila copie vendute e nell’ultimo anno posto fisso in vetta alle classifiche di libri per ragazzi con ben quattro titoli, più quasi quattro milioni di fan sui social, tra bambini, adolescenti e adulti appassionati dei suoi enigmi e delle sue freddure, battute animate dallo stile semplice e caustico). Ma può partire, la storia, anche da un non-luogo, e cioè dall’astrattezza di un momento di noia. “E’ dalla noia, direi da una noia che diventa terapeutica, che nascono le idee migliori, peccato che oggi abbiamo troppo poco tempo per annoiarci”, dice Perugini al Foglio. E infatti lui la noia se la crea ad arte, a volte: sotto la doccia, mentre passeggia, mentre colora, mentre sta seduto con il telefono spento. Ed è in quell’attimo che l’idea arriva, non si sa da dove, sepolta sotto la frenesia delle distrazioni. Perché le distrazioni ha dovuto prenderle di mira per arrivare dov’è, Perugini, affettuosamente chiamato soltanto “Pera” da lettori, tiktoker, instagrammisti, facebookisti, ammiratori e colleghi – e persino l’editore Emanuele Di Giorgi, cofondatore e amministratore della casa editrice Tunué, non riesce più a chiamarlo per nome, neanche all’inizio dell’intervista in cui spiega dove e come ha conosciuto colui che poi sarebbe diventato un caso editoriale, in un miracoloso travaso-interazione tra mezzi mediatici al contrario: dal web alla carta, dal più moderno al più antico, da chi non legge per niente se non sui social a chi diventa lettore di bestseller come, tra gli altri, “Ridi che è meglio”, “Chi ha ucciso Kenny?” (e il suo seguito, “Il trono di Kenny”), “Ridi a CreepyPelle”, libri in cui i personaggi amati dai follower, da Pera a Kenny e Ely ad Alfie, sospesi in un’età indefinita tra fine infanzia e inizio adolescenza (10 anni? 11? 12? 13? 14?), si muovono tra scuola, casa, parchi di divertimento horror e altre ambientazioni della porta accanto, intervallando battute e pensieri timidi o spavaldi, fidelizzando il lettore come un tempo potevano fare i personaggi dei Peanuts, da Lucy a Linus a Charlie Brown a Snoopy, con le loro piccole forze e debolezze – in questo caso con la formidabile capacità di ingaggiare gare di battute e risoluzione enigmi – oppure svagando come una barzelletta lapidaria imparata a scuola (del tipo “ho scoperto che ai cannibali piace l’insalata con-dita” oppure “ma se cuocio un biscotto tre volte, ottengo un tris-cotto?”).

 

 Gli studi a Milano, gli inizi in un’agenzia pubblicitaria, i primi fumetti e i primi riscontri. Poi quell’incontro al Festival di Lucca. I numeri raccontati dall’ad della casa editrice Tunué, lo studio dell’algoritmo, il primo lockdown, l’intuizione degli enigmi   

 

E l’editore Di Giorgi lo racconta, com’è andata all’inizio, ed è qui che la storia passa per Lucca, in particolare dal festival Lucca Comics, appuntamento imprescindibile per gli amanti del genere: c’è Pera che, nel 2017, ancora grafico che ha studiato allo Ied di Milano e che ha trovato impiego in una grande agenzia, ma sempre più fumettista sul web per diletto, con trentamila follower all’apertura della prima pagina Instagram, si presenta ai ragazzi di Tunué, una delle case editrici di riferimento nel mondo del fumetto. E’ uno che “ha studiato bene e più volte l’algoritmo”, Perugini, racconta lo stesso Perugini, e ha osservato dinamiche e slittamenti di preferenze, negli anni in cui ha lavorato per brand di lusso, da Pomellato a Dodo, ma è anche uno “che ha una passione per l’arte di provocare un sorriso quotidiano”, come ci dice oggi Pera. E insomma dal 2017 al 2022, per Pera, è stata una strada in discesa con picchi di vendite, dopo il primo test, con volo metaforico e reale negli Stati Uniti, dove sono stati venduti i diritti di “Chi ha ucciso Kenny?”, e l’aspirazione di arrivare anche in Brasile, dove Pera ha già fatto esperimenti in rete, con fumetti animati doppiati in portoghese (in Italia lui stesso sta imparando a doppiare i suoi lavori, finora digiuno di doppiaggio). E l’editore Di Giorgi parla dello stupore di vedere in atto il teorizzato scambio virtuoso web-carta, con ritorno in libreria, o addirittura primo ingresso in libreria, di ragazzi che ci si avvicinavano riluttanti, magari solo perché un professore aveva inserito la lettura di un libro nella lista dei compiti delle vacanze. Pera parla invece, commosso, di quando gli scrivono le mamme di bambini che hanno qualche difficoltà di apprendimento o lievi forme di autismo, felici perché il figlio, grazie alla passione per i personaggi e le battute di “Ridi che è meglio” o “Ridi a Creepypelle”, “fa qualcosa che fanno anche gli altri, sedersi a leggere un fumetto”.

 

Dal quel giorno di Lucca alla fine del 2019, il “format” di “Chi ha ucciso Kenny?”, spiega Di Giorgi, si è rivelato vincente anche nel lasciare al lettore il margine di libertà di provare, con i protagonisti, a risolvere un enigma, come se il lettore potesse entrarci, nel libro: forse anche questa è la chiave della crescita costante, da cui sono nate altre idee, e, all’inizio del 2020, l’idea di una nuova storia ambientata nel mondo della scuola. Ma poi arriva la mannaia del lockdown, il primo durissimo lockdown di marzo. Visto con gli occhi di Pera, dice Pera, “una tristezza infinita, profonda, e lo smarrimento, come per tutti”. Che fare? E’ a quel punto che i due, editore e autore, decidono per la scommessa: andare lo stesso in libreria, adattando dove si poteva la storia e le battute al nuovo terribile scenario con Dad, mascherine comprese, e porsi come obiettivo la risata che pareva impossibile nel momento in cui la vita per com’era prima sembrava perduta per sempre (oggi però Pera, non a caso, ha deciso “di disegnare storie in cui il mondo è come il mondo prima del Covid”). Dice: “L’obiettivo, in quei mesi assurdi, era quello di cercare di alleviare la pesantezza del presente con la leggerezza di una freddura, una al giorno, giorno per giorno”. Nasce così “Ridi che è meglio”, partito, dice Di Giorgi, con tremila copie di lancio e riassortito costantemente  per due anni, fino ad arrivare a centotrentamila copie vendute. Dalla primavera di quest’anno, due anni dopo, Pera Toons è, come si è detto, costantemente al vertice delle classifiche, e con più di un titolo (il lettore va a cercare i titoli precedenti, ed è qualcosa che all’autore “non sembra ancora vero, perché non pensavo davvero di arrivare qui”). “Pera è un diesel”, dice Di Giorgi, che del suo autore racconta l’attitudine di content creator che segue con grande intuito le accelerazioni suggerite dagli smottamenti rapidi del web – motivo per cui il primo Pera instagrammista si è rivelato abile tiktoker, pur non essendo un attore ma un creativo che, nel passaggio al video, non diventa mai altro da sé. Ma non è un successo casuale, il suo, anzi.

 

   Il metodo per sconfiggere la distrazione, la noia terapeutica che permette di raggiungere un sogno: scampoli di Pera-pensiero

 

Il passo indietro che spiega tutto porta necessariamente alla bestia nera di Perugini, la distrazione di cui si diceva. “Siamo distratti, tutti, irrimediabilmente, continuamente, viviamo in questa frammentarietà di concentrazione e distrazione che spesso impedisce di raggiungere i risultati che uno vorrebbe raggiungere. Capita anche a voi, no?”. (Come no, si pensa ripercorrendo i molti attimi quotidiani in cui si inizia a fare una cosa per poi finire a fare tutt’altro, seguendo il flusso di non si sa quale messaggio o ricerca sul cellulare). “Siamo sei miliardi, mi sono detto a un certo punto, ho tanta concorrenza, sì. Ma anche ci fossero sei miliardi di fumettisti, quanti di questi sarebbero davvero capaci di correre dritti verso la meta dei sogni senza distrarsi?”, racconta Pera per spiegare la sua personale giravolta e svolta professionale e personale. Lui non si è distratto, anzi. Una sorta di Pera-guru racconta infatti il suo metodo: “Mai pensare di dover scalare tutta la montagna in un giorno, ma mai lasciare un giorno senza fare il passetto che ti avvicina alla vetta”. Costi quel che costi, e spegnendo il telefonino mentre si disegna, nel suo caso, per creare l’abitudine virtuosa, dice, “a lavorare nel quotidiano”: “Se dovessi dare un consiglio a qualcuno, gli direi: poniti pure un obiettivo specifico, ma poi lavora nel quotidiano. Mi viene in mente lo scrittore Stephen King, che si imponeva di scrivere dieci pagine al giorno, sempre, in qualsiasi luogo. Belle o brutte, intanto scrivi. Ecco, riuscire a disegnare dieci tavole al giorno per me sarebbe fantastico, ma anche cinque vanno bene, basta avere in mente il tuo sogno e non smettere mai di camminare. Poco, ok, ma cammina”. Per evitare la distrazione, da quando Pera è diventato Pera, l’ascolto degli amati podcast (libri, documentari, storie serie e non), è sparito dalle ore da lui dedicate alla creazione. “Li ascolto solo quando ripasso le tavole o quando rifinisco, prima mai. Devo essere lì, in silenzio, con me stesso. Io e il disegno”. Così, concentrandosi – “non mi vergogno di dire”, dice, “che, venendo dalla grafica pubblicitaria, ho studiato molto i gusti del pubblico e ancora li studio, e che a volte è una guerra postare la cosa giusta al momento giusto” – l’ex ragazzo di Arezzo, oggi quarantenne, è arrivato non soltanto alla considerazione che forse oggi dovrebbe “imparare a delegare qualcosa”, ché finora ha fatto tutto da solo, a parte l’aiuto di una collaboratrice per il montaggio, ma anche a una certezza: questo è quello che lui vuole fare nella vita, e pazienza se qualcuno gli aveva consigliato di tenere anche il lavoro in agenzia. E vuole farlo senza fermarsi dentro i confini. Pera vorrebbe infatti esportare Pera Toons non soltanto negli Stati Uniti e in Brasile – e questo nonostante i suoi genitori e la sua compagna ancora a volte trasecolino (“guarda che hai combinato”, gli dice spesso sua madre, tra il serio e il faceto). Lui stesso, Perugini, a volte non si capacita di essere seduto a firmare copie davanti a una libreria, tra giovani fan, tanto più che inizialmente non aveva come target i giovani. E’ stata una scoperta graduale, uno studio quotidiano di story, trend, like, quelli che ha riprodotto anche in modalità “teatro nel teatro” in fondo alle pagine di “Sfida all’ultima battuta”, centomila copie vendute. Un libro dove il canovaccio della gara di battute tra Pera e Alfie (“perché pomodoro non attraversa la strada?”, chiede l’ortaggio in copertina alle altre verdure e frutta; “perché è rosso”, risponde la banana) lascia spazio ai commenti di presunti follower. “Piace a Ali Mentari”, si legge in fondo alla battuta a pagina 28; “piace a Massimo Della Pena”, si legge in fondo alla freddura di pagina 29. E tra misteri, dispetti e strette di mani si dispiega il mondo antropomorfo di Pera, che da bambino ha letto South Park ma deve aver letto anche la Pimpa: alberi parlanti, pesci loquaci, papere esterrefatte, sole e luna che dialogano, orsi e conigli dubbiosi, carte da gioco in crisi esistenziale (“perché siamo venute al parco?”, chiede il due di picche al quattro. “Per fare il picche-nic”, risponde baldanzoso il due). E quando si arriva, sfogliando le pagine, al Creepy park, location base nel volume “Ridi a Creepy pelle”, tra strane ruote panoramiche e gelaterie poco invitanti (“Dubbio gusto”, si chiama la più gettonata), pareti di specchi, droni e mostri-fantasmi dallo humour poco inglese, la mente va ai telefilm americani anni Ottanta e Novanta, con il gruppo di ragazzini che mettono in scena prime cotte e prime grandi amicizie su sfondo di zucchero filato e tiro a segno, ma anche al parco sotto casa, dove Pera si aggira in un pomeriggio qualsiasi di un qualsiasi giorno in cui l’indovinello rivolto a se stesso è: come posso, oggi, strappare la risata a cui ancora non avevo pensato?

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.