Foto via Olycom 

La grande rivincita

La vittoria del surrealismo, da movimento settario a corrente mainstream

Giulio Silvano

Dorothea Tanning, Meret Oppenheim, Josephine Baker, Leonor Fini. Una tra tutte: Leonora Carrington. La riscoperta di una corrente che è un sentimento. Forse quella con più rappresentanti femminili tra tutte 

L’Italia a lungo ha fatto fatica ad accettare il surrealismo, movimento – anche se la definizione è forse stretta – perdurato per decenni e che, data la sua lasca categorizzazione, vanta un alto numero di rappresentanti e affiliati temporanei in tutte le discipline pensabili. Percepito in Italia come troppo distruttivo, e ancora troppo legato al Dada, il surrealismo alla fine degli anni Venti a Eugenio Montale appare come una “babele parigina”. Ardengo Soffici parla di "amenità e spiritosaggini decadentistiche”. 

 

Ma nel 2022 è chiaro che il recupero è ormai grandioso. È bastato passeggiare nella sala seminterrata del padiglione centrale della Biennale Arte di Venezia di quest’anno, curata da Cecilia Alemani. La sala, con le moquette gialle, era un elogio del passato – tutto femminile – di chi ha utilizzato l’inconscio come fonte principale della rappresentazione visiva. Dorothea Tanning, Meret Oppenheim, Josephine Baker, Leonor Fini… Una sorta di stanza-eredità. Il titolo stesso di questa edizione, “The milk of dreams”, è preso da un testo di Leonora Carrington, artista e partner di Max Ernest. Va detto che pochi “movimenti” come il surrealismo hanno avuto così tante rappresentanti femminili, e che quindi oggi questa reinassance cade a fagiolo.

 

E poi oroscopi, tarocchi, autoidentificazione, primitivismo, esseri non-umani, frammentazione, ambiguità sessuale, androginia, metamorfosi, elevazione dell’arte folk, fascino per l’occulto e per i sogni – tutti pilastri della cultura haute millennial che permeano l’estetica, la moda e i dipartimenti universitari di filosofia e arti visive. Tutti elementi prima settari, punk, da sottocultura ora invece mainstream. Anche la mostra milanese di Palazzo Reale dedicata a Max Ernst, la prima in Italia, è un segno che il surrealismo oggi può attrarre il pubblico senza risultare scostante o incomprensibile, come era invece percepito fino a non troppo tempo fa. Altro elemento è la mostra chiusa da non molto della Peggy Guggenheim collection dal titolo “Surrealismo e magia”, con alcune delle artiste già citate, oltre a Dalì e Magritte e Remedios Varo. L’esplosione della fandom per Frida Kahlo, ormai più riprodotta su pochette e tote bag e spillette e magliette della Gioconda, anticipava questa apertura.

 

Aiuta a capire questo processo la lunga e dettagliata ricerca di Paola Décina Lombardi, che Electa riporta in un bel cartonato in libreria dal titolo Surrealismo 1919-1969. Décina Lombardi non solo è stata allieva del fenomenale francesista Giovanni Macchia, ma è anche riuscita a conoscere di persona alcuni di questi ormai anziani surrealisti. Il volume è una bibbia che segue le vite e le avventure e le liti e gli amori dei protagonisti e dei personaggi minori, tra le diverse arti influenzate da inconscio e sentimenti antiborghesi. Breton, Éluard, Aragon, Masson, Duchamp, i big, ma anche Robert Desnos, Peret Benjamin, Paleen Wolfgang, Hans Bellmer e altri di cui molti non hanno sentito mai parlare.

 

Il surrealismo è stato, appunto, più di un movimento, è stato un sentimento, e una calamita a trazione, ça va sans dire, parigina, che ha fatto incontrare grandi menti e grandi artisti e ha aperto dialoghi di cui sentiamo ancora oggi gli effetti. Manifesti, conflitti politici, dibattiti intellettuali, provocazioni. Ma anche chiave di lettura dell’esistenza, della società e dell’io, e apertura di un immaginario da cui poi diventa difficile staccarsi. Come dice il Manifesto del 1924, “il surrealismo non permette a chi vi sia ricorso di lasciarlo quando gli piaccia. Tutto porta a credere che esso agisca sullo spirito al modo degli stupefacenti”. Insieme al volumone ne è uscito un altro, sempre a cura di Pdl, una sorta di Meridiano, un’antologia di testi su “donna, libertà e amore”, sulla copertina c’è proprio Leonora Carrington, mentre Ernst le copre il seno.

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