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La recensione

La sublime autoironia di Leonora Carrington tra le centenarie in un ospizio

Mariarosa Mancuso

La scrittrice scrive con eleganza e con un sottile estro comico un romanzo in cui racchiude tutto il suo mondo fantastico: il racconto di un'anziana in casa di riposo finisce per trasformarsi nell’ultimo capitolo di una storia grandiosa

Andate in camera vostra a giocare. Era la frase che teneva i bambini lontani dai discorsi adulti. Bisogna ripeterla oggi, parlando di letteratura. Quella hard che ci ha tenuto finora lontani dalla noia. Non quella soft che intristisce, anche se l’eroina canta vittoria dopo sfiancanti combattimenti con la figura materna, lo specchio, il moroso sparito senza una scusa (chi può dire ormai: “Esco a comprare le sigarette”?), la sorella invidiosa e altre sciagure mai affrontate finora da nessuno.

 

Fatti allontanare i bambini e i sensibili, diremo che certi cinici studiosi dei generi letterari – mica esiste solo il giallo, ne avevamo tanti prima in assortimento – hanno accoppiato la cecità al dramma e la sordità alla commedia. Così, senza eufemismi e senza girarci intorno. Nel melodramma di Douglas Sirk “La magnifica ossessione” abbiamo la cecità (vera, finta. risanata). “Il cornetto acustico” di Leonora Carrington – tascabili Adelphi, era uscito negli anni '70, la scrittrice è morta nel 2011 quasi centenaria – non può che essere comico.

 

La protagonista Marion, sorda, ha 99 anni: dettaglio che perlomeno mette al riparo dall’accusa di “ageism”. Vive a casa del bisnipote Galahad e nella moglie Muriel, allietati da cinque figli. Ha un’amica di nome Carmella, il cornetto acustico del titolo è un suo regalo. Tornata a casa con la magica protesi le prime parole, che la quasi centenaria sente sono “bisnonna” e “ospizio”. Con un grazioso commento: “A quell’età la gente sta meglio morta”.
   

Nel caso succedesse, Marion e Carmella congegnano piani di fuga con uso di mitragliatrici (siete anche pacifisti? Meglio che andiate a zappettare le aiuole, i libri sono roba tosta). Marion ha anche un animo poetico, ogni tanto tenta di buttar giù qualcosa, ma “far rimare le parole è così difficile, come guidare un branco di tacchini e di canguri per una strada di grande traffico e tenerli bene allineati in fila senza guardare le vetrine”.

 

Leonora Carrington scrive con molta eleganza, ma quando deve entrare nella testa della novantanovenne Marion sfodera il più tremendo kitsch e ha la sublime dote dell’autoironia. Lei che aveva frequentato Max Ernst e compagnia, certifica: “Il surrealismo non è più moderno, non c’è casa di parroco o scuola femminile che non abbia qualche quadro surrealista appeso alle pareti”. 

 

Poi succede. Marion – che da giovane londinese di ottima famiglia aveva dato scandalo, fuggendo a Parigi per “dipingere modelli nudi” – all’ospizio finisce davvero. Tra vecchie signore bizzarre come lei, cioccolatini fondenti nascosti (elementare prudenza, qualcuno ci ha messo il veleno per topi), bungalow dove i mobili mancanti – armadio, libreria, ma anche le tende e i ninnoli – sono disegnati in trompe-l’oeil sulle pareti. 

 

L’ospizio è diretto da un guru, uno “Psicologo Santificato” che combina Freud e sedute spiritiche. Non si sa in nome di chi, sostiene: “Fantasticare consuma più energia che andare in bici”. Naturalmente i cioccolatini al veleno fanno quel che devono. Succede molto altro, incredibilmente anche nel clima.