facce dispari

Guardare le stelle con il mago Nino Rota. Intervista al maestro Nicola Scardicchio

Francesco Palmieri

Il segno del compositore nella musica e nei ricordi dell'autore ed ex docente al Conservatorio Niccolò Piccinni "Mi insegnò l'importanza della formazione culturale, perché rende libera una persona. Non snobismo né mera erudizione"

Tempo fa, intervistando per questa rubrica il musicista Lorenzo Mattei dell’università di Bari, il discorso cadde su Nino Rota, che ha lasciato un segno indelebile in quella città. Mattei nell’occasione nominò a margine una persona che su Rota “sa veramente tutto”: il maestro Nicola Scardicchio, compositore e docente al Conservatorio Niccolò Piccinni fino al novembre 2021, quando è andato in pensione per limiti d’età. Scardicchio, barese della Muraglia, non fu semplice allievo del Premio Oscar milanese ma discepolo prediletto, compartecipe di incontri straordinari, testimone del più dispari fra i musicisti del Novecento italiano. Perché la personalità di Rota non si espresse solo sul pentagramma in tutte le declinazioni, ma in una variegata rete di relazioni e interessi esoterici per cui, pesando il termine con tara rinascimentale, possiamo definirlo un mago.

 

Poiché Natale è il momento più magico dell’anno, felicemente dispone a una conversazione col maestro Scardicchio, che forse svelerà qualche piega di Rota anche a chi già lo conosce.

 

Come lo incontrò?

Ero un bambino incuriosito dalla musica perché in casa avevamo il culto dell’Opera, ma la folgorazione avvenne quando ascoltai la Quinta di Beethoven e chiesi il disco come regalo per San Nicola. Mentre studiavo pianoforte con Elena Vigliano, a 14 anni, vidi al cinema “Romeo e Giulietta” di Zeffirelli. La colonna sonora m’incantò e quando raccontai alla maestra che ne cercavo a orecchio le note, mi disse di aver studiato con l’autore, Nino Rota, direttore del conservatorio di Bari. Mi fiondai a conoscerlo e scattò un’immediata empatia. Frequentavo il liceo classico ma appena potevo andavo al conservatorio per parlare con lui e avrei voluto dedicarmi completamente alla musica. Però si oppose.

 

Perché?

Perché aveva grande considerazione degli studi classici. Conosceva latino e greco perfettamente: a essere preciso li parlava e spesso mi aiutò a tradurre le versioni per la scuola. Poi conosceva benissimo l’inglese: ricordo le sue conversazioni con Francis Ford Coppola al telefono, come ne ricordo una in francese con la dama di compagnia di Maria Callas, quando lui e Eduardo cercarono invano di convincerla a interpretare donna Amalia in “Napoli milionaria”. Inoltre conosceva il tedesco cui lo aveva avviato la tata da bambino. Sa cosa ho scoperto? Quando alla Fenice diedero la sua precoce opera inedita, “Il principe porcaro”, me ne chiesero l’orchestrazione perché s’era perduta la partitura. Sul manoscritto originale per piano constatai che aveva scritto il libretto anche in tedesco, per giunta in versi. E una sera lo sentii chiacchierare con Stravinskij sulla terrazza del Danieli. In russo.

   

Lei quando s’iscrisse al conservatorio?

Nel 1970 arrivò a Bari Armando Renzi e Rota mi disse che era giunto il tempo. La mia prima lezione cadde il 16 dicembre, anniversario della nascita di Beethoven. Però continuai gli studi classici e mi laureai in Lettere. Come Rota, che s’era laureato con Antonio Banfi. Ma il suo vero maestro fu Michele Cianciulli, un esoterista con cui aveva studiato per la maturità classica da privatista, di cultura poliedrica anche nelle scienze e membro della massoneria clandestina sotto il fascismo. Gli instillò l’interesse per l’ermetismo e lo nominò esecutore testamentario di ingenti beni, che Rota ebbe cura fossero destinati alle opere di beneficenza indicate da Cianciulli. A lui lasciò solo un cannocchiale che teneva fra le cose più care. Ogni tanto mi diceva, nella casa romana al Pantheon, che prima o poi avremmo dovuto montarlo sul terrazzino per guardare le stelle.

   

Un altro sodalizio fondamentale di Rota fu con Vincenzo Verginelli alias Vinci, come l’aveva ribattezzato D’Annunzio durante l’impresa fiumana.

Vinci era stato fidanzato con Elena Croce ma aveva rinunciato al matrimonio e alla carriera accademica per amor di libertà. Insegnava al liceo Virgilio di Roma. Scrisse molti libretti per Rota e alla sua morte custodì la loro raccolta di testi ermetici. Vendendone qualcuno avrebbe potuto vivere da nababbo: rammento uno “Zoroaster” del ’600 stimato solo quello, a inizio anni ’80, 700 milioni di lire. Ma lasciò tutto all’Accademia dei Lincei a beneficio degli studiosi.

   

Cosa ricorda di Fellini?

Esistono geni che fuori dal proprio campo si rivelano banali. Fellini invece era un genio anche di intelligenza straordinaria. I discorsi tra lui e Rota erano sfavillanti.

  

Qual è stato il maggior insegnamento che le ha lasciato il maestro?

L’importanza della formazione culturale, perché rende libera una persona. Non snobismo né mera erudizione: Rota non s’appassionava al calcio ma poteva commentare i risultati delle partite.

   

Quali cose più la sorpresero di lui?

Solo dopo che morì ho scoperto che avevamo amicizie in comune, perché Rota frequentava ambienti diversi senza metterli in comunicazione come a evitare confusione e sprechi di tempo. La musica era la musica, l’ermetismo era l’ermetismo e il cinema il cinema, né ha mai indugiato in pettegolezzi anche su chi conosceva benissimo.

  

Chi era Rota?

Le composizioni di Mozart bambino rivelano il cervello di un bambino geniale, quelle di Rota bambino sembrano scritte da un adulto. Toscanini, che ne aveva discusso con lui quando stavano in America, era convinto che certi casi si spieghino col ricordo di vite precedenti. Come se uno riprendesse da dove aveva lasciato.

Di più su questi argomenti: