facce dispari

Lorenzo Mattei: “Le magie tarantine di Rota e Paisiello”

Francesco Palmieri

Classe ’74, fiorentino di nascita ma di ascendenza romagnola paterna. Unendo i puntini della sua biografia, un triplice legame si rivela col genio del compositore caro a Fellini. Un genio il quale abitua chiunque gli si accosti a leggere gli indizi che con magica grazia disseminò.

Questi giorni i fantasmi buoni di Taranto, che neppure con l’aere inquinato dell’Ilva l’hanno mai abbandonata, sono più vicini a chiunque abbia orecchio per percepirli oltre il vocìo incessante della guerra e della politica. Compie vent’anni il Giovanni Paisiello Festival e i venti giorni del suo svolgimento (dal 30 settembre al 20 ottobre) diventano occasione per parlare, con il direttore artistico Lorenzo Mattei, degli spiriti illustri che da Taranto si levarono o passarono e vi sono, come detto, tuttora rimasti.

Classe ’74, fiorentino di nascita ma di ascendenza romagnola paterna, Mattei vive a Bari da 22 anni avendo insegnato prima al conservatorio e oggi Storia della musica all’università. Unendo i puntini della sua biografia, un triplice legame si rivela col genio di Nino Rota, il quale abitua chiunque gli si accosti a leggere gli indizi che con magica grazia disseminò.

La traccia rotiana a Taranto?

Rota vi si stabilì nel 1937 per insegnare teoria e solfeggio all’Istituto musicale Paisiello. All’epoca era una piccola struttura di una provincia estrema del Meridione e rappresentò una radicale scelta di vita. Rota non aveva certo bisogno dei soldi della docenza, aveva rapporti internazionali e proveniva da una colta famiglia milanese. Volle fare tabula rasa, da artista alla ricerca di radici popolari che venne attingendo in questa frontiera.

Quindi la docenza al conservatorio Niccolò Piccinni di Bari, di cui sarebbe diventato direttore.

A Bari l’ambiente era diverso: un grande porto commerciale, la città dei Laterza che guardava alla realtà nazionale e internazionale. Però anche qui Rota scelse di abitare a Torre a Mare, a quel tempo un villaggio di pescatori. Sono convinto che da queste esperienze derivi l’aspetto bandistico e circense della sua musica trasfuso nelle colonne sonore per Fellini. A Bari Rota attivò il suo carnet di relazioni, anche con assunzioni dirette che oggi sarebbero impensabili, e attrasse il meglio dello strumentismo italiano.

Lei ha incrociato le impronte di Rota da direttore del Paisiello Festival e già come docente al Piccinni, ma un’altra occasione le riporta alla Romagna.

Per un legame che con Rota accomuna me e la mia famiglia a Fellini: la conoscenza di Tonino Guerra. Fu il migliore amico di mio nonno Gianni nel Montefeltro, dove trascorrevo feste e vacanze. Guerra era un poeta anche quando elencava la lista della spesa e ho assistito alla creazione del suo Orto dei frutti dimenticati a Pennabilli. Per lui salvaguardare una varietà di mela era un imperativo, perché rappresentava la memoria degli uomini che l’avevano coltivata.

Come scoprì la musica?

Quando, alle elementari, volevo il disco dei Puffi. Mio padre invece mi portò un pianoforte. Mi sono diplomato a Firenze con un’allieva di Benedetti Michelangeli, poi ha prevalso sull’attività pianistica la passione per gli studi musicologici.

L’opera di Paisiello è un mare magnum per un musicologo. Un genio tarantino che si forma a Napoli e s’impone in tutta Europa.

Fu un campione dell’autopromozione, precursore del social media management. Aveva la capacità di economizzare le energie creative per ottenere i massimi risultati e gli interpreti lo adoravano perché la sua musica ne valorizzava i talenti. Analizzando le partiture sono di una semplicità disarmante se comparate a Mozart, ma funzionali alla scena. “La Frascatana” ebbe quasi 200 repliche, come nessuna opera in tutto il Settecento. Unì nord e sud e lavorò per tutti: da Caterina di Russia al re di Polonia, dai Borbone a Napoleone. Fu chiamato per inaugurare il Bolshoi di San Pietroburgo e la Fenice di Venezia, perché garantiva un prodotto artigianale altissimo. Come Gucci, o la Ferrari.

Come uomo, però, Paolo Isotta che pure lo adorò da artista lo ricordava “vile, opportunista e donnaiolo”. In politica poi, una banderuola.

E adottò verso i colleghi una “shark strategy” che non risparmiava nessuno. Parlò bene solo di Mozart, che aveva incontrato quando Amadeus aveva quattordici anni.

Un altro genius loci della musica di Taranto è Mario Pasquale Costa, epoca diversa, stessa fortuna di Paisiello, stessa adozione napoletana.

Le loro case natali distano cinquanta metri. Costa visse la florida stagione ottocentesca della musica salottiera e la sua fama ha sofferto meno offuscamenti grazie alla popolarità di canzoni come “Era de maggio”, “Scétate”, “Serenata Napulitana”.

C’è un autore che vorrebbe ancora valorizzare?

Mentre a Taranto abbiamo la fortuna di un’Associazione Amici della Musica che quest’anno compie un secolo, a Bari sto cercando di promuovere un festival per Niccolò Piccinni. Le istituzioni, dal sindaco al sovrintendente del Petruzzelli, mi sembrano piuttosto sorde. Portare in scena Piccinni, magari nel teatro intitolato al suo nome che è un San Carlo in miniatura, è ritenuto meno conveniente di portarci una “Traviata”. Si crede per errore élitaria la sua musica ma non è così: a Genova hanno ritrovato una partitura, “Il parrucchiere”, con gag alla Zelig. Se poi vogliamo giocare sempre al ribasso, tenetevi TikTok. Sono stanco di sembrare il classico professore invasato che ignora cosa vuole “la gente”. A proposito, sa che non è visitabile la casa di Piccinni? Si sono accorti che il bagno dei disabili non risulta a norma.

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