Robert Harris al 60° Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel 2010 (foto di Sean Gallup/Getty Images) 

Lo scrittore Robert Harris: “Il destino della mia Inghilterra è l'Europa e la sua forza è nella Corona”

Giuseppe Fantasia

L'ultimo libro, Oblio e perdono, è piaciuto molto anche al nuovo re Carlo III. "Per undici anni l’Inghilterra è stata una repubblica, esattamente 150 anni prima della Rivoluzione francese e 250 anni prima di quella russa. Assurdo che questa storia non sia conosciuta dai più"

Cosa voleva dire essere inglesi cinquant’anni fa e cosa vuol dire esserlo oggi? Lo chiediamo allo scrittore Robert Harris, autore di diversi bestseller mondiali tradotti in quaranta lingue, da Fatherland a Enigma, da Il Ghostwriter a L’ufficiale e la spia, entrambi amati da Roman Polansky tanto da averli trasformati in film. L’ultimo, Oblio e Perdono (Mondadori, 444 pp., 22 euro, la traduzione è di Annamaria Raffo) – presentato in anteprima italiana all’undicesima edizione di Milano Book City, conclusasi con oltre 140mila visitatori – è piaciuto molto anche a Carlo III, nuovo re inglese.

 

I due si sono incontrati vent’anni fa e da allora, all’ex Prince Charles, Harris ha inviato tutti i suoi libri. “Non volevo mandargli anche questo – spiega – perché in Inghilterra è uscito una settimana dopo la morte della regina, ma alla fine l’ho fatto”. “Cinque giorni dopo, ricevo una lettera listata a lutto, in cui mi invita a non imbarazzarmi per il fatto che Carlo I sia stato decapitato (come racconta nel libro, ndr), ma che quell’episodio è solo un incentivo in più alla suspence, perché tutti si chiedono che tipo di re sarà lui adesso’”.

 

Quella decapitazione ha segnato il culmine della guerra civile inglese e la caccia all’uomo per punire i due traditori fuggitivi in America. “E’ assurdo che l’unica rivoluzione che c’è stata in Inghilterra non sia conosciuta dai più. Fu tagliata la testa al re, furono eliminati i lord e i vescovi. Sono in pochi a sapere che per undici anni l’Inghilterra è stata una repubblica, esattamente 150 anni prima della Rivoluzione francese e 250 anni prima di quella russa. La rivoluzione inglese è scoppiata prima lì e poi sopravvissuta in America. Il fatto che nel libro abbia fatto nascondere i regicidi proprio in quel paese, presso comunità religiose indipendenti dalla Corona d’Inghilterra, è stato un modo per dire che lì c’era il Dna di quella che è l’America dei nostri giorni”.

  

“La Storia può anche essere cancellata, ma non si può sfuggire alla Storia”, precisa Harris. Ha condannato la guerra in un altro suo libro, V2, incoraggia la lotta degli ucraini per la loro indipendenza e ritiene “sia un imperativo morale che l’Europa li sostenga”. “Se prendiamo quello che è successo cinquant’anni fa– continua – l’Inghilterra dopo la guerra era in una posizione strana, perché dentro quella che si sarebbe poi chiamata Europa, ma senza partecipare alla sua costruzione”. Questa posizione è continuata e l’avvento della Brexit lo ha dimostrato. C’è sempre, poi, uno zoccolo duro di nostalgici inglesi sostenitori dell’imperialismo britannico e dell’indipendenza del loro paese. La Brexit, in realtà, è stata per tutti noi una sveglia, anche se non ci siamo ancora svegliati del tutto. Il nostro destino è legato all’Europa e questa grande fantasia che l’Inghilterra debba ritornare a essere una grande potenza mondiale, è completamente morta, non ha futuro”.

  

“La monarchia è la forza del mio paese”, precisa questo scrittore che vive a Kintbury, nella contea del Berkshire, a ovest di Londra. “Tutti si sono resi conto che la repubblica non avrebbe funzionato così come era accaduto all’epoca e credo che nessuno pensi che ci si possa tornare. Aveva ragione lo storico Eric J. Hobsbawm – con cui ho parlato prima che morisse – quando diceva che i paesi più civili del mondo sono quelli che hanno un regime di monarchia costituzionale, perché è la migliore garanzia di libertà. L’eredità storica ha portato al rafforzamento della monarchia attuale e la serie tv “The Crown” lo ha dimostrato, visto che è servita a rinsaldare l’immagine della famiglia reale più conosciuta al mondo come fosse un marchio di fabbrica”.

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